Dopo la tempesta

Le cose belle viaggiano in modo improbabile e spesso occorre una fine perchè possano cominciare“. (Neil Young)

Quando la tempesta sarà finita siamo sicuri che vorremmo tornare alla vita precedente? Ma la vera domanda è un’altra. Dopo che la tempesta avrà bussato alla nostra porta, segnandoci ma lasciandoci vivi, seppure lo volessimo, pensate che potremmo tornare alla vita precedente?

Potremmo tornare alle solite preoccupazioni? Potremmo ancora riuscire ad arrabbiarci se qualcuno ci ruberà un parcheggio? E le questioni lavorative, saranno ancora in grado di angosciarci?

Io penso che avremo nuove priorità, forse finalmente saremo capaci di capire ciò che vale davvero la pena. Avremo nuovi obiettivi. Forse il lunedì mattina non sarà più in grado di deprimerci ed è probabile che anche il traffico nelle giornate di pioggia avrà tutt’altro sapore. Possiamo sperare che saremo in grado di inseguire l’importante, lasciando per un attimo da parte l’urgente.

E’ probabile che passata la tempesta non saremo più in grado di convivere con i rimpianti, con i compromessi e le rinuncie. Forse faremo pace con il nostro passato, perché il futuro, seppur meno sicuro, sarà senza dubbio più aperto e meno scontato di quanto l’avessimo potuto mai immaginare.

Come dopo una guerra, ci saranno macerie sulle strade, ma anche tanta voglia di ricostruire, perché fra le tante cose distrutte ci potrebbero anche essere tutte quelle resistenze che fino a ieri ci hanno impedito di correre dietro ai nostri sogni. Quando negli anni a venire Facebook ci segnalerà fra i ricordi le foto e i post di questo periodo, forse ci verrà da sorridere, ricordando come eravamo prima e come eravamo diventati dopo.

Perché come dopo una guerra, tornare alla vita di tutti i giorni, alla nostra quotidinità abituale, non sarà come rientrare a casa dopo un lungo viaggio. Non troveremo le cose come le avremo lasciate. Anzi, niente sarà più uguale a prima, anche le cose che apparentemente sembreranno le stesse. Avranno un altro colore, un altro sapore, suoneranno con una tonalità diversa.

E allora davvero alla fine di questa quresima ci sarà una Pasqua di resurrezione. Auguriamocelo. Per rispetto di quelli che la tempesta si è portata via. Allora non sarà stata solo una tragedia. E soprattutto, non sarà capitata invano.

Forse alla fine di questa triste storia, qualcuno troverà il coraggio, per affrontare i sensi di colpa e cancellarli da questo viaggio, per vivere davvero ogni momento, con ogni suo turbamento, come se fosse l’ultimo

 

 

Ancora sugli alibi, sulle paure e su possibili rimedi

C’era ancora qualcosa di non detto nel post di ieri. E grazie a un commento di Tilla (http://tilladurieux.wordpress.com/) è venuto fuori più chiaramente questa mattina. La genesi degli alibi non è tanto la paura per qualcosa di specifico. Non è, come scrivevo ieri, la paura di fare o non fare, trovarsi o perdersi, incontrare o dimenticare. La genesi dell’alibi nasce dalla paura di avere paura. Perché quello è il nostro terrore più profondo. Ed è quello che avvelena la nostra mente e ci svia verso le strade più o meno comode degli alibi.

Noi non vogliamo avere paura. E così costruiamo le nostre belle maschere, i nostri alibi. Non vogliamo nemmeno avere coraggio, il più delle volte, ma sempre per quella stessa paura. Abbiamo più o meno tutti paura di morire, ma più o meno tutti abbiamo anche paura di essere vivi. Abbiamo paura di non riuscire e quindi abbiamo anche paura di provarci. Tilla, nel suo commento al suddetto post dice che con le cazzate altrui ci dobbiamo fare i conti anche noi ed è per questo che se vogliamo amare dobbiamo sbrogliare le matasse altrui. Questo perché le paure degli altri sono le nostre. Che ci spaventano perché ci fanno scoprire inermi, incapaci di essere d’aiuto, fragili per noi e per chi ci sta accanto. Le paure degli altri sono le nostre e per questo (anche per questo? soprattutto per questo?)  non possiamo non provare a sbrogliare le loro matasse. E come si fa? O almeno, come ci si prova?

Io non ho dubbi. Ridendoci su. Come ben racconta la favola di Monster & Co. l’unico modo per vincere le paure è scoprire il loro lato comico. Allo stesso modo, togliere gli alibi, sarà possibile solo se scopriremo quanto in realtà siano ridicoli. Una risata vi seppellirà. Altro che coraggio, altro che eroi. Per vincere le paure ci vogliono i comici (che assolutamente evitino di scendere in politica però!).

–         Ma non sarà che questo è il tuo alibi? Che quella del comico è semplicemente la tua maschera per non affrontare i problemi e le paure?

Può darsi. Non sono così presuntuoso da pensare di aver trovato una soluzione definitiva, quella giusta per tutti. No, forse non sarà “La” soluzione. Ma è la mia. E’ quella che mi fa convivere con le mie paure, che mi fa prendere in carico e sopportare quelle degli altri. Che mi fa ridere delle mie paure e dei problemi, dei miei tentativi vani e anche di quelli ben riusciti. E tornando ad un altro post e sempre al commento di Tilla (lo confesso, ormai è amore!), in fondo non è vero che non riesco a parlare di sesso. Ma ci riesco a modo mio (https://giacani.wordpress.com/2013/10/27/tragicomico-erotico-stomp/ ) se e quando riesco a coglierne il lato irresistibilmente comico (del resto, cosa c’è di più erotico in una donna del suo senso dell’umorismo?)

–          Ma tu mica riesci sempre a ridere dei guai, dei problemi, delle paure? Anzi, ultimamente brontoli peggio di una pentola di facioli co le cotiche

Ma certo. Quando mai ad un comico si è chiesta coerenza? Fai quel che dico e non quel che faccio. Il comico non è un eroe, non è un martire. Tutt’al più è un cazzarone, uno che non vuol crescere, uno che indica la strada, anche se lui stesso non è riuscito a percorrerla. Ma il fatto che lui non sia riuscito non significa che la strada fosse errata.

Abbraccia questo vento e sentirai che il mio respiro è più sereno
Io non ho paura
Di quello che non so capire
Io non ho paura
Di quello che non puoi vedere
Io non ho paura
Di quello che non so spiegare
Di quello che ci cambierà