Con gli occhi aperti nella notte scura

Padri che uccidono figli, mariti che uccidono mogli, uomini che uccidono colf, decapitazioni in diretta tv. Ma almeno in quest’ultimo caso c’è il fanatismo religioso a dare un motivo, a creare un contesto, per quanto assurdo, almeno razionalmente comprensibile alla malvagità. Negli altri casi ci dobbiamo affidare ad un contesto vago, ad un contenitore vuoto, che può essere riempito di qualsiasi cosa, com’è quello della follia.

La verità è che di fronte al male senza senso siamo presi dalle vertigini, perdiamo i punti di riferimento, belli o brutti che siano. La malvagità cieca, assoluta ci disorienta. Perché capiamo che in fondo, come un ospite indesiderato, potrebbe essere accanto a noi, potrebbe bussare all’improvviso, senza alcun avviso.

Forse c’è sempre stata ed oggi con questo surplus di informazioni che abbiamo, diventa solo più evidente. Non credo ai fenomeni di emulazione. E non credo nemmeno alla strategia della testa sotto la sabbia. Al contrario invece, dobbiamo rimanere svegli, “con gli occhi aperti nella notte scura” perché avere paura non ci aiuterà.

Piuttosto, come in modo schietto ci invita a fare Hanna Arendt, dobbiamo inchiodare il male alla sua banalità, cancellando alibi, togliendo maschere, scuse, presunte incomprensibili grandezze o giustificazioni. Con tutta la pietà possibile per coloro che non ce l’hanno fatta, ma nello stesso tempo con  tutto il coraggio di cui disponiamo: nessuna resa, nessun passo indietro, dobbiamo insistere nella speranza che invece un’altra realtà è possibile.

Like soldiers in the winter’s night, with a vow to defend. No retreat, believe me, no surrender.

 

Ancora sulla banalità del male

Pur evidentemente con le grandi differenze che le separano, due tragiche notizie si sono accavallate in questo triste week end. La follia che scatena la strage di ragazzi norvegesi ed l’autodistruzione di una giovane cantante rock. Che hanno in comune queste due notizie? Che hanno in comune i due protagonisti?

Da una parte c’è un norvegese pazzo, un maniaco che non riuscendo ad essere nessuno, ha pensato di diventare famoso (parole sue), come il “mostro” peggiore dai tempi della seconda guerra mondiale.

D’altra una cantante con una voce meravigliosa, che con soli due dischi ha venduto più di 10 milioni copie, che poteva diventare davvero la numero uno e lasciare una traccia imperitura nella storia della musica.

Il primo schiacciato dalla sua mediocrità, la seconda dalla sua genialità. Entrambi alla ricerca di una via alternativa, folle, distruttiva, che in qualche modo fosse una via di fuga dalla realtà, evidentemente non più tollerabile, se entrambi sono stati capaci di gesti così atroci e disperati.

E certo sarebbe stato molto più rassicurante, molto più accettabile se la strage norvegese fosse figlia di qualche macchinazione politica, se dietro avesse un terribile complotto internazionale, magari figlio di un qualche nemico.

Sarebbe stato molto più consolante se la povera Emy avesse avuto una qualche terribile malattia o che so, qualche sofferenza nascosta, un’infanzia difficile, una motivazione qualsiasi per buttare via la sua giovane vita e tutto quello che avrebbe potuto essere.

E invece no.

In entrambe la situazioni dobbiamo arrenderci all’evidenza dei fatti.

Alla cruda, quanto spietata banalità del male (avevo già scritto proprio lo scorso anno in un’altra nota, su questa celebre affermazione della Hanna Arendt). Che non ha motivi, non ha significati, non ha fini, né ragioni. E che per questo ci vede inermi e disarmati, come quei poveri ragazzi norvegesi. Non c’è prevenzione, non c’è un qualcosa che avremmo potuto fare per prevenirlo. La madre della cantante che dice che si aspettava quella notizia esprime la stessa disperata rassegnazione dei sopravvissuti dell’isola maledetta che continuano a ripetere, “che potevamo fare?”

E certo, se la nostra prospettiva è l’eternità, forse tutto può essere inquadrato in un contesto diverso, nel quale Qualcuno avrà la forza e la pazienza di cercare ragioni e di svelare motivi. Di dare una redenzione, alle vittime ed ai carnefici, di dare ed ottenere perdono.

Oppure amici miei? Oppure?

Hanna & Martin

–         Non abbiamo nessuna cosa in comune! Nessuna cosa che ci tiene legati.

–         Proprio per questo nessuna cosa ci potrà dividere!

Tu hai questo capacità. Vedi le cose da un punto di vista diverso. Questo mi hai insegnato: un foglio bianco è il luogo in cui appariranno tutti i colori del mondo. Il silenzio è l’attesa di una melodia, come la fame è la preparazione per la sazietà.

Perché in fondo basta poco.

Basta un niente per cambiare positivamente le cose.

Bisogna cogliere gli aspetti positivi, in tutte le situazioni.

Certo, serve esercizio.

A volte non è così facile, ma se ce l’hai per abitudine, alla fine diventa automatico.

Basta una canzone sentita alla radio, il sorriso di uno sconosciuto, una bibita ghiacciata quando fa caldo, una cioccolata calda d’inverno.

–         Devi cogliere le cose belle, gli aspetti positivi!

–         Ma come?

–         Non so, forse devi riconoscerne l’odore.

–         E che odore hanno le cose belle?

–         Sanno di buono!

Una traccia lieve, appena accennata, eppure nitida, inconfondibile.

Se solo si ha la pazienza di aspettarla.

Se solo si ha la tenacia di cercarla.

Ma lei c’è!

–         La traccia del bello è ovunque. Solo che io riesco a trovarla solo quando ci sei tu.Per questo sono cambiato, mi hai modellato tu, sono stato cera nella tue mani, per diventare quello che sono.

–         Ti amo significa voglio che tu sia come sei. Con tutti i perché e tutti i nonostante. Non si può amare solamente perché. Non ami davvero se non ami anche nonostante.

Ma i miei erano troppo grandi, troppo orrendi. Tu li avresti accettati forse, ma io no. E così ti ho lasciato andare.

–         Grazie a tutti, è stato bello!

Hai detto, ma in realtà sono io, siamo noi che avremmo dovuto ringraziarti. Non lo sapevamo allora, ma in realtà andandotene hai salvato te stessa, ma anche noi tutti che invece restavamo lì, incapaci di opporci al mostro che inconsapevolmente avevamo fatto nascere in mezzo a noi.

* * *

Hanna Arendt e Martin Heidegger si amarono profondamente, con la testa e con il cuore. Poi lei dovette emigrare, per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste. Quel nazismo di cui Martin era stato uno dei primi fautori.

Non si videro più, neanche quando lei tornò in Germania per testimoniare a suo favore alla fine della guerra.

 

La banalità del male

Leggendo la vicenda del pugile ucraino che uccide a pugni “la prima che incontro per strada” (e poi anche il bell’articolo di Sofri su Repubblica di ieri “Noi uomini vigliacchi, rileggiamo Cuore”), pensando a come avrei reagito io in una situazione simile, mi veniva in mente la parabola del Buon Samaritano. Il “prossimo” che si prende cura del povero disgraziato, lasciato ai margini della strada ferito e derubato, che lo cura e gli paga la locanda, non può non opporsi ai banditi, se li incontra per strada. Non può (non potrebbe) limitarsi a curare le ferite: quanto meno dovrebbe fare di tutto per evitarle. E tutto questo non penso vada in contrasto con il porgere l’altra guancia e con il principio, non solo evangelico, della non-violenza.

Eppure molto spesso nella storia anche recente mi sembra che ci limitiamo appunto a questa funzione (importante, per carità) di crocerossine successive ai fatti, senza avere il coraggio di affrontare il male direttamente, faccia a faccia.

Che poi, nel caso in questione, non so quanto sarebbe stato coraggioso o incosciente affrontare quell’animale tentando un salvataggio improbabile (direi anzi impossibile, visto il mio fisico non proprio scultoreo). Forse meglio sarebbe stato cercare aiuto. Chissà, è difficile dirlo così, a freddo, bisogna trovarcisi, probabilmente non sono reazioni che si possono stabilire prima.

Che poi quello che fa più paura non sono i muscoli del bruto, quanto il vuoto che spalanca davanti a noi una violenza come questa. Una violenza disperata, senza senso, senza motivo, banale, come diceva la Arendt. Perché la violenza come questa è banale, non ha alcuna grandezza, né dignità o potenza. Il male che si scaglia contro una donna inerme o contro un bambino è meschino, insignificante, mediocre. E contro questo male non possiamo restare inerti, non possiamo chiudere occhi ed orecchi ed accelerare il passo. Per quanto ci faccia orrore, per quanto la disperazione ed il vuoto che ci apre di fronte ci spaventi, dobbiamo reagire. Magari con il rischio di prendere qualche sganassone. Ma sicuramente meglio che affrontare poi i sensi di colpa per non aver reagito.