In questi giorni mi tornava in mente Achille. Avete presente Achille? Quello invincibile, il più forte di tutti. Un solo punto debole, il tallone. E lui che fa? Va in battaglia con i sandali. Ma allora sei scemo. Mettiti gli stivali, no! Vuoi fare il fico, vuoi far vedere che tu non hai paura del tuo punto debole? Sei scemo due volte!
Noi dovremmo aver cura dei nostri punti deboli. Dovremmo coccolarli, sono come bambini piccoli, hanno bisogno di protezione. Invece no! Abbiamo la sindrome di Achille. Più sono deboli, più li esponiamo ai pericoli. Sembra che lo facciamo apposta. Facciamo finta di proteggerli, pensiamo di nasconderli, ma poi il risultato è esattamente il contrario. E invece di difenderli li mettiamo in bella mostra.
Forse abbiamo paura di difenderli perché ci vergognamo di loro, preferiremmo che sparissero, che svegliandoci una mattina non ci fossero più. Invece dovremmo volergli bene. Questo fanno le persone che ci amano: vogliono bene ai nostri punti deboli, li difendono, non li disprezzano, non li mettono in piazza. Hanno cura di loro.
And when the tempest is raging I want you to know got a friend that’s true Just like a shelter, in a time of storm I’ll see you through, that’s what I’ll do
I’ll see you through your bad times I’ll see you through your fears I’ll see you through your hang ups Honey I’ll dry all your tears
Non è la prima volta che vi intrattengo sul tema felicità. Non avete ancora letto la mia personale classifica sui futili motivi per cui essere felici? Be’ fatelo! Seppur nella sua minchioneria (e come potrebbe essere altrimenti?) resta uno dei post meglio riusciti. Però qualcuno mi faceva notare che in realtà quelli sono motivi transitori, che lasciano il tempo che trovano. Che insomma, in definitiva, ammesso e non concesso che ci siano momenti e motivi di felicità, sono fugaci, passeggeri, deboli. Troppo deboli. Bisogna cercarne di altri, di più solidi, di più duraturi. Certo, il rischio è questo qui.
La felicità è un po’ come la nebbia a Milano. Quando c’è non si vede. E se non si vede quando c’è, figuriamoci quando non c’è! Del resto di motivi per non essere felici ce ne stanno a valanga, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ma se uno ci chiedesse, cosa servirebbe per essere felici, siamo proprio sicuri di sapere la risposta? A parte vincere un’esagerata quantità di denari, forse. Ma siamo sicuri che basterebbe questo? Siamo sicuri che i tutti i ricchi siano felici?
Allora l’amore. Be’ certo, essere ricchi e innamorati è meglio che essere soli e con le pezze al culo. Ma forse non è così automatico neanche questo. Forse ha ragione il grande Woody: le parole più belle del mondo, quelle che davvero ci rendono felici non sono “ti amo”, ma “è benigno”. Siamo sicuri che l’amore renda felici? Che il trovare una persona che ci ami, che stia sempre vicino a noi, che divida gioie e dolori, ansie e speranze, possa far sì che possiamo dire, ecco sì ora sono felice?
Se è vero che riusciamo con dovizia di particolari ad elencare i motivi per non essere felici, perché diventa così complicato individuare le cause per esserlo? Io resto sempre più convinto che questa benedetta felicità sia sopravvalutata. E che soprattutto sia sopravvalutata la sua ricerca. E qualche volta, anzi più di qualche volta, forse basterebbe guardare le cose con occhi diversi, valutare le situazioni per quello che sono, cercando sempre di dargli il giusto peso, ovvero di ridimensionarle e quindi poi lasciarsi andare ad un liberatorio, quanto taumaturgico
Lo so, lo so. Non è una soluzione, mi direte voi. Figuriamoci! Se non vi hanno convinto i futili motivi, vi potrà mai bastare l’atarattico motto? Ma certo che no. Come non vi basterà cercare di far tornare alla mente i momenti felici del passato. Quella volta che Veron segnò sotto la sud facendo poi il verso dell’aeroplanino, oppure quella volta che facemmo l’amore dopo aver mangiato la pasta con i carciofi e bevuto quel vino sublime, il concerto dei Supetramp al PalaEur, il 23 settembre del 98, il 3 dicembre del 2001 e tanti altri. Ma no, se anche stessi qui a continuare a dire, potrei non convincervi. La felicità, ammesso che esista, ammesso che sia afferrabile, deve essere più di questo. Deve andare al di là, dev’essere oltre. Ma se questo oltre fosse dove proprio non lo cerchiamo? Se questo oltre fosse proprio esattamente qui?