Ogni tempo ha le sue favole

E così anche il famoso bacio del principe alla bella Biancaneve addormentata è caduto sotto la scure del revisionismo e della rilettura critica che da un po’ di tempo è diventato di moda nei confronti delle favole. E non solo delle favole, basta ricordare le polemiche dell’anno scorso sul povero Cristoforo Colombo. Ma in effetti le favole, i miti non sono solo storie per bambini, perché invece in un linguaggio semplice e comprensibile da tutti, da sempre raccontano la morale della società che le ha create.

Chi vi ha detto che Biancaneve volesse essere salvata? Chi vi ha detto che non stesse invece beatamente dormendo, sognando un principe molto più bello? E se invece stava sognando una principessa? Come si permette questo qui di arrivare notte tempo e approfittarsi di lei? E il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso, siamo sicuri fosse così cattivo? La protezione animali avrebbe qualcosa da dire. Per non parlare dei diritti lavorativi dei poveri 7 nani, senza neanche uno straccio di polizza sanitaria integrativa! E Cenerentola che fa lavorare in nero i poveri topolini? Mulan, costretta a mascherarsi da uomo?

Probabilmente è vero che le fiabe esprimevano una società maschilista, poco attenta ai diritti dei lavoratori ed in generale delle classi meno abbienti, totalmente disinteressata al rispetto per gli animali, probabilmente omofoba e colpevolmente silente sulle questioni razziali. Dunque è giusto ora cambiare tutto? E’ giusto raccontare nuovi miti e nuove favole ai bambini di oggi, che saranno le donne e gli uomini di domani? Probabilmente sì. Ma più che giusto o sbagliato penso sia inevitabile, perché appunto le favole raccontano lo spirito di una certa società, esprimono un modo di pensare che è legato ad una determinata epoca, con i suoi miti e le sue grandi verità.

Da piccolo mi appassionavo per l’epopea western: già i miei figli non hanno nessun trasporto rispetto a queste storie. Per me indiani e cowboy erano gli eroi da imitare o i cattivi da sconfiggere. Perché, in effetti, come dice bene Chesterton (grande scrittore inglese di inizio 900), al di là, o meglio dietro ogni personaggio, quello che conta è la narrazione: “le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché questo i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti“.

E vissero tutti felici e contenti

Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché questo i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti (Gilbert Keith Chesterton)

Poi ad un certo punto si cresce e non si crede più nelle favole. Di solito allora succede che non si crede più nemmeno che i draghi possano essere sconfitti: si comincia a credere che i draghi siano invincibili, che probabilmente sia inutile anche combatterli, che convenga piuttosto arrendersi e farci amicizia. allora si esce dalla favola e ci si arrende alla realtà.

In quella realtà in cui non ci sono principesse da salvare, mulini a vento da sfidare, burattini senza fili, ragazze ninja che si mascherano da uomini, orride bestie che diventano uomini bellissimi, lupi cattivi e nonne buone (da mangiare), streghe da sconfiggere, gatti che suonano il jazz, coccodrilli che mangiano sveglie e lepri con il panciotto.

Ma invece bisogna tornare a crederci alle favole. Alla morale della favola, che poi altro non è che la favola della morale. Seguendo la seconda stella a destra alla fine il drago sarà sconfitto. Alla fine “e poi vissero felici e contenti”. E  se non siamo felici e contenti vuol dire semplicemente che ancora non siamo alla fine.