La prima cosa bella

Come stare fuori dal tempo, quando fuori è mattina presto…

I ricordi sono una materia fluida, spesso non coerente, difficilmente catalogabile in maniera defintiva. A volte mentre viviamo certe situazione non ci rendiamo conto di quanto siano belle, di quanto siamo stati felici a viverle. Poi nel rievocarle possono assumere sfumature inaspettate, quasi sconosciute: forse solo il fatto di averle vissute in altre età, con certe persone che non ci sono più, in situazioni differenti da quelle attuali, ce le rende più belle. Ci fa dare un peso diverso a certi particolari che mentre li abbiamo vissuti sembravano insignificanti, ma ora, a distanza di tempo, chissà perché ci sembrano fondamentali.

E così con i sapori delle cose mangiate da bambini, con le vacanze fatte da adolescenti, con le musiche ascoltate in certi determinati anni. Di fronte alla bellezze passate il presente difficilmente regge il paragone. Ma perché è così? Solo perché siamo intrinsecamente nostalgici o c’è qualcha altra ragione?

Guardando i miei figli adolescenti mi rendo conto che, esattamente come facevo io, alla loro età sei troppo preso a vivere per riflettere cosa sta vivendo. Sei troppo indaffarato a non perderti neanche un minuto, un’occasione, una possibilità, per avere anche il tempo di fermarti a pensare quanto siano belle. Ma è anche giusto che sia così, non gliene faccio una colpa. Ed è inutile spingerli a riflettere su questa cosa. Del tutto inutile.

La verità è che l’autocoscienza della felicità si impara vivendo. Sia che tu l’abbia raggiunta e poi persa, sia che ce l’abbia ancora affianco a te, sia che invece tu non l’abbia ancora colta fino in fondo, in ogni caso è difficile vivere la percezione profonda della felicità nel presente. Eppure dovremmo imparare a farlo. Tutti. Al più presto!

Per questo dico spesso che la felicità, o meglio la sua ricerca, è sopravvalutata. Perché rischia seriamente di non far cogliere le situazioni presenti e di allontanare sempre più quell’autocoscienza, magari facendoci nascondere dentro i ricordi, ricercando lì quello che non ci sembra avere qui e oggi. Ma se ci fermiamo un attimo a pensare, dobbiamo ammettere che se ci sembra bella perfino Semplice di Gianni Togni, allora tra trent’anni ci sembrerà accettabile anche la scimmia che balla di Gabbani. Ma allora perché aspettare? Perché non provare ad essere felici oggi, qui e ora? In fondo, aveva ragione Togni…è semplice.

 

Su attese, pretese e ancora sulle Radio

C’è chi aspetta e chi attende. Perché una cosa è aspettare, una cosa è at-tendere. Nel primo caso si sta fermi sperando che l’oggetto del cercare arrivi. E ci incazziamo se non arriva come e quando diciamo noi. Nel secondo gli si va incontro e si fa tutto quello che è in nostro potere per arrivare ad incontrarlo. Così facendo, difficilmente avremo aspettative fuori dalla realtà, né tanto meno pretenderemo chissà cosa. L’attesa sarà comunque un lungo cammino, una strada verso, in cui spereremo di raggiungere e di essere raggiunti, tenendo alto lo sguardo, mantenendo però i piedi per terra.

Oggi un anno fa mi venne fuori questo post. Ed è buffo pensare a quante cose sono cambiate e quante sono invece esattamente le stesse. Quindi riprendiamo quell’esempio. Come scrivevo lì, certe sintonie nascono spontanee, sono come affinità elettive, che tu riconosci al volo, senza neanche sapere il nome. Le senti e…bamm, contatto! Ed è per questo che ci attendiamo molto da quelle radio: perché ci teniamo. Ci attendiamo di ascoltare certe canzoni, perché abbiamo scelto noi di entrare in quella sintonia e abbiamo fatto di tutto per rimanere collegati. E’ chiaro che più la ascoltiamo, più la conosciamo e più sapremo cosa attendere. Sapremo cosa manderà in onda nelle giornate uggiose e cosa in quelle piene di sole. Sapremo quando il segnale farà capricci e ci lascerà in silenzio e quando invece urlerà a squarcia gola. Ma per quanto conosciamo quella radio sarebbe stupido, arrogante (e anche inutile) pretendere di sentire la musica che vogliamo noi, perché comunque non siamo noi a decidere la programmazione.

Certo dall’attesa alla pretesa il passo è breve e magari il persistere di una canzone dissonante da quella che aspettavamo può disorientarci. Rischiamo di rimanere delusi, di non essere felici della musica che stiamo ascoltando. Più che un rischio direi una certezza.

Ma tra quello che ci possiamo (dobbiamo) attendere e quello che non possiamo (dobbiamo) pretendere, forse sarebbe bene rivedere la nostra scala dei valori. Ho la netta sensazione che ci siano tante cose che sopravvalutiamo. I soldi, il potere, il sesso, l’altrui apprezzamento. Tutte cose belle, tutte cose che possono aiutarci a stare bene, che ci possono rendere appagati, soddisfatti di noi stessi…ma sono così determinanti per essere felici? E se state per rispondere che sì, in fondo è proprio così, con qualche distinguo e qualche sfumatura, allora arrivo a dire che forse la cosa più sopravvalutata di tutti è proprio la felicità. Ma sul serio rincorrere la felicità è l’obiettivo degli obiettivi, l’altare sul quale sacrificare ogni altra cosa? Essere felici è lo scopo della vita?

Non c’è forse qualcosa di più splendido?