In fondo cos’è il genio? Un ossimoro, una coincidenza degli opposti. La follia intelligente, la straordinarietà dell’ordinario e la semplicità della meraviglia. La ripetizione di un concetto assolutamente anonimo che diventa la surreale metafora della ciclicità degli eventi (non a caso le feste si chiamano “ricorrenze”, proprio perché ogni anno si ripresentano diverse, ma in fondo uguali a se stesse). E questa cosa fa ridere! Il modo in cui viene detto, l’alternanza dei toni, la mimica facciale, fa sì che quello che in altri contesti sarebbe un qualcosa di banale, di noioso, scatena invece l’ilarità.
Certo, di fronte alle vette dell’umorismo di un Woddy Allen con tutti i suoi riferimenti culturali piegati alla voglia di far ridere (“ogni volta che ascolto la Cavalcata delle Walchirie mi viene voglia di invadere la Polonia”), questa comicità potrebbe sembrare dozzinale, ma proprio questo secondo me indica la genialità. Anche io, anche voi, chiunque, riesce a strappare un sorriso con quella battuta, ma solo Albanese riesce a farci ridere semplicemente ripetendo una frase qualunque. Come Totò che fa finta di starnutire o Ollio che guarda sconsolato dentro la telecamera dopo l’ennesimo disastro di Stanlio, o un pugno in testa di Bud Spencer. L’umorismo diventa geniale quando fa ridere nella sua nudità, nel suo non aggiungere nulla al tutto del gesto o della parola. Infatti non la sappiamo spiegare, non riusciamo a motivare cos’è che ci fa ridere. Perché infatti non ridiamo più solo perché ascoltiamo o perché guardiamo. Ridiamo col naso, perché la traccia umoristica è talmente flebile, ma assolutamente concreta che forse possiamo riconoscerla solo come fosse un profumo nell’aria.
E allora, visto che oggi è il 21 dicembre, possiamo ben dire che mancavano quattro giorni a Natale…