A che ora è la fine del mondo?

I fatti di cronaca e di politica estera di questi giorni improvvisamente ci stanno riportando ad uno scenario che pensavamo ormai appartenere alle paure del passato, al mondo diviso in due blocchi, alla minaccia sovietica. Invece questi due ciccioni con i capelli improbabili sembrano abbastanza pazzi da mettere in atto quello che nessuno fino ad oggi ha mai compiuto.

Tra l’altro leggevo che, al di là di un attacco vero e proprio sul suolo americano (che ancora forse non è realmente possibile), quello che già oggi potrebbe succedere è un attacco ai sistemi elettrici colpendo i satelliti che orbitano nell’atmosfera. Questo potrebbe comportare un black out totale per oltre un anno, in America come anche in Europa. Riuscite ad immaginare un mondo senza elettricità? Senza internet, senza poter ricaricare i cellulari, senza televisori, senza frigoriferi….altro che meteorite del Buondì Motta!

Chissà quanti fra noi cattolici (circa un miliardo e 300 milioni nel mondo) si rende conto che ogni volta che andiamo a messa ci auguriamo che arrivi la fine del mondo (nell’attesa che si compia la beata speranza…). Ma se davvero rimanessimo al buio per un anno, con la reale possibilità che l’escalation nucleare potrebbe portare alla catastrofe totale, come diventerebbe la nostra percezione del tempo? Come cambierebbe la nostra scala delle priorità?

Di fronte alla fine di ogni cosa, quanto sarebbe ancora importante quell’inderogabile impegno di lavoro che ci mette ansia, il conto in banca in rosso che non ci fa dormire, un goal al derby che ci fa esultare e poi un esame universitario, una colonscopia, l’indipendenza di un paese, la ricerca di lavoro, l’elezione del governo, la parità dei diritti, la lotta di classe, la previdenza integrativa, la lotta all’omofobia? Ogni sforzo, ogni obiettivo, ogni cosa, ogni causa, anche la più nobile, perderebbe importanza. E forse rimarebbero davvero solamente le cose essenziali.

Allora diventa inevitabile farsi una domanda. Se stesse per finire ogni cosa, come passerei le mie ultime due ore? Fumerei un bel sigaro cubano, sorseggiando un bicchiere di rum e poi vorrei perdermi fra le braccia dell’amore mio. Un ultimo ballo, magari con questa canzone di sottofondo.

Cosa ci è lecito sperare?

Ritorna questa domanda, che chi mi segue da un po’ mi ha già sentito proporre. Scrivevo un po’ di tempo fa che Kant parte da qui per scrivere le sue Critiche della ragione: “cosa ci è lecito sperare” per lui significa interrogarsi su cosa, secondo la nostra ragione, sia consentito, legittimo, ragionevole aspettarsi. Su cosa sia opportuno, corretto, onesto confidare. Così secondo lui si delineano i confini della ragione, oltre i quali non si dovrebbe andare.

Ma “cosa ci è lecito sperare” è secondo me un paradigma che va al di là della semplice comprensione delle cose. E’ la domanda che riguarda i rapporti con le altre persone, con gli amici, con la persona che amiamo, con noi stessi. E’ la domanda sulla nostra vita, sul futuro, sul perché stiamo su questa terra e cosa ci stiamo a fare. Sono anni che ciclicamente si ripresenta nella mia vita, mascherata nelle situazioni più diverse, nascosta ma non tanto da non essere chiaramente riconoscibile. Ritorna come domanda senza risposta.

Ma come spesso accade, a volta la risposta non viene, semplicemente perché la domanda è sbagliata. La speranza non può avere un oggetto lecito. Non può, per sua natura, limitarsi a ciò che è consentito, legittimo, ragionevole, opportuno, corretto, onesto. Chiedersi questo significa non credere fino in fondo in ciò che speri.

Non possiamo sempre avere ciò che vogliamo (come cantavano anche gli Stones!), ma possiamo essere ciò che vogliamo. E per questo la nostra speranza può anche andare al di là del lecito. Con gli amici, con le persone a cui teniamo, con il nostro amore, con noi stessi: decidiamo noi chi vogliamo essere. E’ per questo che non possiamo limitare la nostra speranza. E’ per questo possiamo sperare l’oltre. O detto in altre parole, l’al di là.

E ora abbracciami forte e balliamo.

Non ti arrendere, ci siamo noi. Non ti arrendere, non abbiamo bisogno di niente. Non ti arrendere, da qualche parte c’è un posto a cui apparteniamo. Riposati, ti preoccupi troppo, andrà tutto bene. Quando i tempi si fanno duri, pensa a noi, non cedere, per favore, non arrenderti…don’t give up, please, don’t give up.