Trilogia battistiana – E’ una vela la mia mente

Tu non cambi mai. Un braccio, cos’altro vuoi? Un’ora me la dai, l’amore è qualcosa di più, del vino, del sesso che tu, prendi e dai…

In fondo è come con i ristoranti.

Ti parlano di quel posto, non lo conosci, ci vai e…mangi divinamente! Una vera sorpresa, mai ti saresti immaginato di mangiare così bene! E allora ci torni. Cambi il menù, una volta carne, un’altra pesce e poi i primi, i dolci. Tutto fantastico. Un po’ ne vorresti parlare agli altri, vorresti consigliarlo, un po’ sei geloso, vorresti tenerlo per te per paura di perdere qualcosa. Alla fine neanche scegli tu cosa mangiare, perché ti fidi talmente tanto da lasciar fare e prendi quello che ti portano.

Da quel posto ti aspetti sempre il massimo. Potrà succedere che un giorno ti porteranno la pasta un po’ scotta o la carne mezza bruciacchiata e forse rimarrai deluso, perché non sei stato abituato così. Ci rimarrai male? Forse, o forse cercherai una spiegazione, un motivo. La volta dopo sei certo che ti ritroverai bene, anzi ti aspetti che cercheranno di farsi perdonare e starai anche meglio. Te lo aspetti perché ormai conosci quel posto, lo apprezzi e sai quanto ci tengono.

Frequenti anche altri ristoranti. Qualcuno perché si spende poco: non ti avvelenano, non devi prenotare, c’è un parcheggio comodo c’è sempre un posto libero. Anche se sai che vale poco. Quell’altro invece fa una cosa buona, la specialità. E sa fare solo quella, guai a chiedere qualcos’altro. Basta saperlo. Sai cosa aspettarti.

Il vantaggio dei vecchi ristoranti, di quelli che conosci da tanto tempo in fondo è questo. Sai cosa aspettarti e hai meno possibilità di errore: hai meno possibilità di chiedere cose che non saranno come le volevi. D’altra parte saranno quelli che potranno darti le fregature maggiori, perché potrebbero non rispettare le legittime aspettative che avevi su di loro.

Se invece sei abituato a mangiare a mensa, magari neanche capirai la differenza. Se per te mangiare è un fatto meccanico, come mettere la benzina nella macchina, allora ti accontenterai del primo posto che capita: non ti aspetti nulla e prendi quello che ti danno.

Già altre volte mi ero intrattenuto sul tema delle aspettative, più o meno legittime, che possiamo avere sugli altri e su noi stessi (l’ultima qui https://giacani.wordpress.com/2014/01/05/i-il-rubinetto-della-doccia-e-la-domanda-kantiana/).

La conoscenza, la stima, il quanto ci teniamo a qualcuno, ci fa avere della aspettative. E queste ultime saranno tanto più alte quanto maggiori saranno appunto quelle. Allo stesso tempo, più stimiamo, più teniamo a qualcuno, più corriamo il rischio di essere delusi. E insieme, corriamo il rischio di pretendere quello che non potrà darci. La conoscenza è basilare, anche se poi le persone cambiano, così come i gestori dei ristoranti. E allora non potrai mai essere certo se la tua attesa sarà una freccia verso il basso che quindi finirà nella delusione, oppure troppo alta, arrivando ad essere una pretesa irrealistica.

E’ complicato? Certo che lo è! Ma d’altra parte, siamo sempre liberi di non subire delusioni e di non correre il rischio di avere pretese assurde. In fondo possiamo sempre andare a mangiare al Mac Donald.

 

I. il rubinetto della doccia e la domanda kantiana

La mia amica I. (una grande amica, che sa leggermi più e meglio di tanti altri), mi diceva giorni fa che non bisogna attendersi nulla dagli altri, nemmeno (o forse soprattutto) dagli amici, perché altrimenti si perde la spontaneità dei rapporti e soprattutto si rischia poi di rimanerci male se quello che ci si attende non arriva.

Nella casa in montagna il nostro idraulico Anatolio (già uno che si chiama così…va be’, non divaghiamo) ci ha montato sulla doccia un rubinetto spaziale. Bellissimo eh! Peccato che ogni volta che lo devo usare rischio il raffreddore. O una scottatura. Perché le manopole sono montate non per aprirsi da destra a sinistra, ma si girano verso la parete (o verso se stessi), sia per aprire l’acqua, sia per regolare la temperatura.  E non hanno nemmeno i classici colori indicatori (freddo blu, caldo rosso) o qualsiasi altro segno che ti possa far capire come andrebbero usati. E così regolarmente tu pensi che arriva la calda e invece stai andando verso il polo nord. Pensi di aumentare il getto e invece stai chiudendo. Bello questo rubinetto eh…bello, ma simpatico come una vongola chiusa.

E arriviamo così a Kant. Il saggio di Konisberg apre la sua Critica della Ragion Pratica con una domanda determinante. Una di quelle domande che mi accompagna da più di trent’anni (ma io so’ strano…non mi dite che non ve n’eravate accorti?). E la domanda è: “cosa ci è lecito sperare?”. Non cosa vorremmo o cosa potremmo. No! Cosa ci è lecito, ovvero cosa la nostra ragione ci rende possibile sperare. E partendo da qui arriva al cielo stellato, alla legge morale e bla bla…

Cosa possiamo aspettarci dagli altri? Soprattutto quando non abbiamo indicazioni chiare. Quando non sappiamo bene se girando di là arriverà un bacio o un cazzotto. Cosa ci è lecito sperare?

Come dicevo a I., penso che dobbiamo aspettarci molto dalle persone a cui teniamo. Moltissimo, direi. Mi aspetto che se giro la manopola di là, mi arriverà un caldo abbraccio per riscaldarmi d’inverno e se giro d’altra parte mi arriverà una bella scossa per rinfrescarmi dalla calura estiva. E se non arriva? Se sbaglio manopola? Avrò forse sperato qualcosa di illecito? La paura di sbagliare mi farà quindi evitare ogni manovra. Non sarà che l’unica speranza lecita è non sperare?

Certo che questo rischio esiste. Ma la vita è fatta di rischi. Mi aspetto che tu mi capisca, che non mi giudichi, che mi aspetti, che mi trascini, che chiuderai un occhio o che ne terrai aperti tutti e due anche per me. E se poi sbaglio manopola pazienza. Perché certo, quello che non posso sperare è che tutto ciò avvenga automaticamente.

Un po’ quello che dicevo già qui https://giacani.wordpress.com/2013/09/18/attese-e-aspettative/

Aspettarsi molto, pretendere nulla.

Penso sia questo il confine fra il lecito e l’illecito delle nostre speranze. Cosa replicherà la mia dolce I. lo saprò nei prossimi giorni. Per sapere cosa ne pensa il vecchio Immanuel spero di dover aspettare un po’ di più!

Attese e aspettative

All’inizio di una storia sei pieno di speranze, perché sei convinto che ci sia un mondo da conquistare e nulla da perdere. E così, seguendo le tue spinte costruttive, sei pieno di buoni propositi. Combatti contro la tua superficialità, la tua faciloneria e ti sforzi di mettere da parte i pregiudizi, vorresti ripulire la tua mente per lasciarla aperta ad ogni contributo, dando la massima disponibilità all’ascolto, avvicinandoti cercando di raccogliere il massimo di quello che gli altri possono darti.

E quello che arriva è tutto trovato.

Così gli altri non ti deluderanno mai, perché avranno sempre qualcosa da offrirti. Magari qualcosa di piccolo, di apparentemente insignificante, ma che invece può diventare prezioso.

Ma funziona anche con chi amiamo profondamente ed incondizionatamente? Anche con coloro riusciamo ad essere così saggi, così bravi da aspettare senza pretendere?

E con noi stessi? Con noi stessi abbiamo la pazienza di aspettarci, oppure saltiamo direttamente alla pretesa? Cosa ci aspettiamo da noi stessi? E per quanto tempo siamo disposti ad aspettare?

Insomma, non sarà che invece proprio sul più bello, proprio nei rapporti che contano veramente, non siamo incatenati ai nostri pregiudizi, non siamo lì tesi a pretendere, senza se e senza ma, quello che vogliamo da noi stessi e dalle persone che amiamo?