I. il rubinetto della doccia e la domanda kantiana

La mia amica I. (una grande amica, che sa leggermi più e meglio di tanti altri), mi diceva giorni fa che non bisogna attendersi nulla dagli altri, nemmeno (o forse soprattutto) dagli amici, perché altrimenti si perde la spontaneità dei rapporti e soprattutto si rischia poi di rimanerci male se quello che ci si attende non arriva.

Nella casa in montagna il nostro idraulico Anatolio (già uno che si chiama così…va be’, non divaghiamo) ci ha montato sulla doccia un rubinetto spaziale. Bellissimo eh! Peccato che ogni volta che lo devo usare rischio il raffreddore. O una scottatura. Perché le manopole sono montate non per aprirsi da destra a sinistra, ma si girano verso la parete (o verso se stessi), sia per aprire l’acqua, sia per regolare la temperatura.  E non hanno nemmeno i classici colori indicatori (freddo blu, caldo rosso) o qualsiasi altro segno che ti possa far capire come andrebbero usati. E così regolarmente tu pensi che arriva la calda e invece stai andando verso il polo nord. Pensi di aumentare il getto e invece stai chiudendo. Bello questo rubinetto eh…bello, ma simpatico come una vongola chiusa.

E arriviamo così a Kant. Il saggio di Konisberg apre la sua Critica della Ragion Pratica con una domanda determinante. Una di quelle domande che mi accompagna da più di trent’anni (ma io so’ strano…non mi dite che non ve n’eravate accorti?). E la domanda è: “cosa ci è lecito sperare?”. Non cosa vorremmo o cosa potremmo. No! Cosa ci è lecito, ovvero cosa la nostra ragione ci rende possibile sperare. E partendo da qui arriva al cielo stellato, alla legge morale e bla bla…

Cosa possiamo aspettarci dagli altri? Soprattutto quando non abbiamo indicazioni chiare. Quando non sappiamo bene se girando di là arriverà un bacio o un cazzotto. Cosa ci è lecito sperare?

Come dicevo a I., penso che dobbiamo aspettarci molto dalle persone a cui teniamo. Moltissimo, direi. Mi aspetto che se giro la manopola di là, mi arriverà un caldo abbraccio per riscaldarmi d’inverno e se giro d’altra parte mi arriverà una bella scossa per rinfrescarmi dalla calura estiva. E se non arriva? Se sbaglio manopola? Avrò forse sperato qualcosa di illecito? La paura di sbagliare mi farà quindi evitare ogni manovra. Non sarà che l’unica speranza lecita è non sperare?

Certo che questo rischio esiste. Ma la vita è fatta di rischi. Mi aspetto che tu mi capisca, che non mi giudichi, che mi aspetti, che mi trascini, che chiuderai un occhio o che ne terrai aperti tutti e due anche per me. E se poi sbaglio manopola pazienza. Perché certo, quello che non posso sperare è che tutto ciò avvenga automaticamente.

Un po’ quello che dicevo già qui https://giacani.wordpress.com/2013/09/18/attese-e-aspettative/

Aspettarsi molto, pretendere nulla.

Penso sia questo il confine fra il lecito e l’illecito delle nostre speranze. Cosa replicherà la mia dolce I. lo saprò nei prossimi giorni. Per sapere cosa ne pensa il vecchio Immanuel spero di dover aspettare un po’ di più!

Seguire le stelle o inseguire le nuvole

Puoi metterti in viaggio seguendo le stelle o inseguendo le nuvole, per raggiungere una meta, oppure solo per andare via.

Ci si mette in viaggio per il gusto di viaggiare o perché si ha chiaro davanti a sé il proprio traguardo. Accettando il rischio di perdersi, oppure seguendo un percorso già tracciato.

Si può partire per dimenticare o per farsi dimenticare, con la paura di perdere qualcosa o con il coraggio di perdersi, trovando qualcosa di nuovo o semplicemente ritrovando se stessi.

Ci si mette in viaggio con la speranza di arrivare o con la nostalgia di tornare.

E qui decidi la natura del tuo viaggio, qui si apre la differenza tra chi segue le stelle e chi insegue le nuvole. Tra chi cerca una meta – che poi è sempre un ritorno – e chi è disposto ad aprirsi ad un futuro diverso.

Tra la speranza e la nostalgia c’è tutta la distanza fra chi pensa ci sia qualcosa da guadagnare e chi non ha più nulla da perdere.

Ci vuole coraggio per mettersi in viaggio.

A volte però il coraggio vero è quello che ti fa restare.