Il calcio è davvero un fenomeno strano. Non è solo uno sport, non è solo uno spettacolo, la più futile fra le cose serie o la più seria fra quelle futili, troppo invadente e pervasivo, esageratamente identitario, sembra davvero aver preso il posto della religione, almeno nel senso deleterio che descrive Marx , quando la definisce l’oppio dei popoli. Eppure.
Eppure fra le moltissime cose negative che si possono dire del calcio è innegabile che accompagnando così da vicino le nostre giornate, costruisce storie che riescono a toccare nel profondo le nostre vite. Già in questo post sui ricordi dell’adolescenza vi ho raccontato che cosa significò la partita che si giocò la serata del 30 maggio del 1984. Quel Roma Liverpool segna una tappa fondamentale della mia adolescenza, per tutto quello che gli girava intorno, per quello che avrebbe potuto succedere e non successe, per le paure ed i sospiri di sollievo non solo calcistici che si tirava appresso.
Ed ecco che a distanza di 34 anni (quasi la stessa distanza d’età che c’è tra me e mio figlio), il caso rimette di fronte la Roma ed il Liverpool, stavolta in una semifinale, con i cugini che hanno finalmente la possibilità di saldare i conti. Di nuovo mi divido tra l’ansia dei sicuri sfottò dei vincitori e l’ammirazione per una squadra che certo non amo, ma che obiettivamente è arrivata al di là delle sue possibilità, fino a sfiorare il tetto del mondo. Come allora il mio amico Dario è allo stadio, stavolta accompagnato dai figli (anche il più piccolo ha quasi la stessa età che avevamo noi allora). E come allora la Roma va ad un passo dall’impresa, ma alla fine si ritrova con un pugno di mosche in mano.
Mentre anche la Citroen mi fa rituffare indietro con i Supertramp, il MIO gruppo di quegli anni, mi rendo conto che alla fine vincere o perdere non è poi così determinante. Una vittoria o una sconfitta non ci avrebbero restituito la primavera dell’84, i nostri diciassette anni, la spensieratezza e le mille possibilità aperte di fronte a noi. E allo stesso tempo però, al di là della vittoria o la sconfitta, per una notte il calcio ci ha dato la possibilità di riassaporarla, di rivivere paure e sogni di allora, come forse nient’altro potrebbe fare allo stesso modo.
Questa è la magia di quel rettangolo verde e di quei 22 che corrono appresso ad una palla. Chissà, magari tra altri 34 anni, a 86 anni suonati, ci sarà un’altra partita che ci riporterà indietro un’altra volta. E forse allora i cuginastri riusciranno pure a vincere. Ma mica ne sono poi così convinto!
Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più. (Bill Shankly)