17 agosto 1986

And you know that I’m gonna be the one, Who’ll be there, When you need someone to depend upon. When tomorrow comes

 

Non c’erano mica i cellulari. Eh no! Se volevi chiamare qualcuno dovevi avere le fortuna che il telefono di casa fosse libero. Oppure armarti di gettoni, pazienza e speranza. Di trovare una cabina libera e funzionante.

Non c’erano i social network, ovviamente. A dire il vero non c’erano proprio i computer, se non per gli addetti ai lavori o per chi si dilettava con i primi Commodore. Grillo faceva ancora ridere e Berlusconi era semplicemente un imprenditore di successo che proprio in quell’anno coronava il suo sogno di bambino, comprando la sua squadra del cuore che non se la passava tanto bene. Ancora peggio andava alla mia Lazio, travolta dall’ennesimo scandalo scommesse e costretta a ripartire in campionato con un handicap pesantissimo di 9 punti. A quel tempo infatti la vittoria valeva solo due punti! Meno male che ci pensavano i cugini a risollevarci un po’ il morale, perdendo in casa contro un Lecce già retrocesso e buttando alle ortiche un campionato già vinto. Nel resto del mondo Maradona, con la “mano di Dio”, vinceva il suo mondiale, mentre anch’io coronavo il mio sogno di bambino, cominciando a lavorare al Messaggero.

C’era ancora l’Unione Sovietica che dava gli ultimi sussulti con un leader quasi simpatico, con una grande voglia sulla zucca e parole finalmente distensive. Da noi Arbore la faceva da padrone in tv con Indietro tutta (bissando il successo di Quelli della Notte) e al governo comandava un socialista con la mascella volitiva. No, non quello di Predappio, quell’altro! Comunque non era certo un’età dell’oro, i disastri c’erano anche allora. E che disastri! Chernobyl, la mucca pazza, non ci facevamo mancare nulla.

In musica, a parte la solita disco music, un sacco di gruppi rock si andavano sciogliendo: i Pink Floyd, i Genesis, i Supertramp, i Clash, i Police. E per fortuna che c’erano gli U2 e i Simple Minds (oltre al Boss, ovviamente) a dire ancora qualcosa di sensato. In Italia non andava meglio, anzi, era il crepuscolo dei cantautori. Vasco Rossi aveva terminato l’anno prima con Cosa succede in città, Battisti, Bennato e De Gregori avevano già detto tutto quello che avevano da dire, Venditti tirava fuori l’ultimo album decente della sua carriera. Al cinema, come citava lo stesso Venditti poteva capitare di vedere… “9 settimane e mezzo, La mia Africa, con la stessa donna, nella stessa sera”.

Eh già! Com’è lontana quell’estate dell’86. E insieme com’è vicina. Ci siamo ancora tutti, o quasi. Effettivamente qualcuno s’è perso, ma i vent’anni non passano mica,  rimangono per sempre, che tu lo voglia o no. Sono impressi a fuoco nella mente, come le targhe delle macchine, le canzoni che ascoltavi, le canne che fumavi e quella sensazioni di irrequietezza, quella voglia di fare, di andare, di costruire. Nell’estate dell’86, fosse stato per me, non avrei dormito mai!

E noi cominciammo a sceglierci. Cominciammo allora, quasi per gioco, come cominciano gli amori estivi, senza pensieri, senza ansie, né aspettative. Chi ci avrebbe creduto? Noi certo no. E forse questo è stato il segreto della longevità. 17 8 86. Quante volte me lo sono giocato al Lotto questo terno. Niente, neanche un ambo! Ma in fondo va bene lo stesso. Senza neanche puntarci una lira (eh già, ovviamente c’erano le lire!), vincemmo qualcosa di ben più importante. Perché al Lotto ci vinci una volta nella vita, qui invece la scommessa si ripete ogni giorno. Cominciammo allora, ma continuiamo oggi, perché non è mica vero che si sceglie una sola volta per sempre. Cominciammo allora a sognare una vita e ogni giorno abbiamo costruito una vita da sogno.

E visto che più d’uno me l’ha chiesto, l’undicesima canzone (o forse la prima) della mia lista (https://giacani.wordpress.com/2014/08/08/le-mie-10-canzoni/), la nostra canzone, quella che fece da colonna sonora al primo capitolo della nostra storia, in quella calda estate dell’86, fu questa bellissima (e profetica) canzone degli Eurithmics

30 maggio 1984. Il fuoco amico dei ricordi

Notte di sogni, di coppe e di campioni…

E’ difficile ricordare, a trent’anni di distanza, una giornata in ogni singolo momento, come se l’avessi vissuta ieri. E infatti capita raramente e sempre quando il ricordo è legato a qualche evento particolare: il giorno in cui morì Kennedy, il giorno in cui rapirono Aldo Moro. O più recentemente l’11 settembre. Qui nella capitale, per le persone che hanno diciamo dai 40 anni in su, il 30 maggio 1984 è una di quelle giornate. Per me poi ci sono anche elementi in più del tutto personali. E allora, trent’anni dopo, cado sotto i colpi del fuoco amico dei ricordi (leggete l’ultimo di Piperno e poi ne riparliamo).

Bang! Il primo colpo mi riporta ad una mattinata di sole. Le 8,30, prima campana, e spegni quella sigaretta…17 anni, secondo classico, per chi non lo sa, 4 anno (sapete perché noi del classico siamo delle seghe in matematica? ma è normale, prima facciamo il 4 e 5 e poi il 1, 2 e 3!), con la scuola agli sgoccioli, c’era il rito della foto di classe. Come ogni anno, il più fortunato con la bandiera in mano, avremmo salutato l’anno che se ne andava, già proiettati al prossimo e all’esame di maturità che ci aspettava.

Bang! Il secondo colpo dei ricordi vola al pomeriggio, all’Aventino, alla clinica Salvator Mundi, per la precisione. mamma quel giorno doveva uscire. Finalmente! Due settimane prima aveva subito un’operazione e fortunatamente era andato tutto bene. Quello stesso tumore che poi se la sarebbe portata via qualche anno dopo, quella volta fu sconfitto. Un piccolo contrattempo fece slittare la dimissione il giorno dopo. “E va be’ – pensai – il peggio è passato, cosa vuoi che cambi un giorno in più o in giorno in meno”? L’importante è che si poteva ricominciare a vivere, a cazzeggiare, a pensare alle ragazze. E al calcio!

Bang! Il terzo colpo, quello che rende indimenticabile quella giornata, che la fa entrare nella storia. Allo stadio Olimpico la Roma si gioca la possibilità di entrare nella storia, di arrivare sul tetto del mondo. Mio padre, mio fratello ed io, laziali fino al midollo, come tutte le sere in quel periodo siamo a cena dal fratello di papà, in una casa di romanisti agguerriti e pronti a festeggiare. E sarà per riconoscenza verso i nostri ospiti, sarà perché anche noi percepivamo di trovarci di fronte alla Storia, con la S maiuscola, non potevamo tifare contro come avevamo fatto fino a quel giorno e come avremmo continuato a fare dal giorno dopo in poi.

Dario e Paolo, i miei migliori amici erano allo stadio, mio cugino lì a fianco a me, più della metà della città con il fiato sospeso, ad un passo dal traguardo. E certo, sapevo bene l’inferno che avrebbero scatenato, i mesi e mesi di festeggiamenti e di rosicamenti che stavo per subire. Avrebbero invaso la città, l’avrebbero messa a ferro e fuoco con i loro orrendi colori come avevano fatto pochi mesi prima con lo scudetto. Anzi, molto di più: Campioni d’Europa! Ma io la mia coppa dei campioni l’avevo già vinta. Mia mamma l’aveva vinta e tutto il resto contava davvero poco. Per questo avevo uno stato d’animo altalenante, un po’ rassegnato all’ineluttabile, un po’ rinfrancato comunque dallo scampato pericolo. E quasi impassibile, con una calma atarattica, assistetti alla disfatta dei cugini, al clamoroso harakiri che li portò a perdere la finale di fronte al proprio pubblico.

E così torno al primo colpo e torno a guardare quella foto. Ma pensa se avessero inventato la macchina del tempo. Pensa se si potesse andar lì ad interrogare quelle belle facce, a farsi raccontare i loro sogni, le loro speranze. Per esempio quello lì dietro con gli occhiali, il nano della compagnia. “Ehi tu? Che mi dici?” Chissà se tu potessi vedermi oggi come io posso vedere te. Perché io mi ricordo chi eri e cosa avevi in testa e ora posso giudicarti. Ma tu? Tu come mi giudicheresti? E quell’altro là, con la bandiera in mano e quell’orrida maglietta? Che direbbe oggi quello lì, che aveva tanta fretta quel giorno perché doveva correre allo stadio? Chissà se pure lui questa sera è stato colpito dal fuoco amico dei ricordi…

 

classe