E saper fuggire un cretino

Ormai si sa, la pazienza è una grande virtù. Sopportare con pazienza le persone moleste è non a caso una delle opere di misericordia spirituale. Ma fino a che punto? Perché è vero, bisogna calarsi nei panni degli altri, bisogna cercare di vedere la realtà dal loro punto di vista, la molestia spesso nasce dalle paure, dalle insicurezze. A volte è importante rassicurare, alcune volte bisogna farsi spalla, altre volte è sufficiente essere orecchio. Devi saper contare fino a cento, a volte invece meglio far finta di non vedere, né sentire le persone moleste.

Ma moleste come? Come una caccola nel naso che non va né su, né giù? Come quelli che a Tresette bussano con il tre secondo? O come chi non riparte quando scatta il semaforo verde? Non c’é un’indicazione in questo senso. Bisognerebbe sopportare tutti, anche chi ha l’alito cattivo e si ostina a non tenere il distanziamento sociale. Perché in realtà la questione vera è un’altra: fino a che punto pazientare e quando invece provare con una capocciata sui denti?

In ogni caso, una volta che la razionalità ha percorso tutte le sue strade, alla fine dobbiamo ricorrere alla poesia. E nel nostro tempo, chi meglio del sommo poeta Giulio Rapetti, in arte Mogol, ci può dare un’indicazione chiara su come andare avanti?

Se è il caso lottare, più spesso lasciare
Saper aspettare chi viene e chi va
E non affondare se si può in nessuna passione
Cercando di ripartire, qualcosa accadrà
Curare il giardino e saper fuggire un cretino
Usare poco i motori e poco gli allori
Non temere la notte, non temere la notte
Però amando più il giorno
E partire senza mai pensare, ad un sicuro ritorno

La pazienza e la molestia

“Renditi utile, visto che non sei dilettevole”

Così racconta Natalia Ginzsbug le diceva il padre quando era piccola. E in effetti, visto che essere dilettevoli non è proprio così semplice, almeno uno dovrebbe provare a rendersi utile. Ma mica è così facile. Perché in realtà poi ci sono molte sfumature fra il bianco e il nero. Ad esempio ci sono persone che non potresti dire che siano buone o cattive: sono quei tipi che si muovono con modi scomposti, in maniera inappropriata, un po’ come elefanti in una cristalleria, ma non lo fanno apposta, non hanno secondi fini. Sono inopportuni. Come i temporali estivi che ti colgono senza ombrello all’uscita di un ristorante con la macchina lontana e le scarpe leggere.

Sono quegli amici che parlano quando bisognerebbe star zitti, che dicono esattamente quello che non vorremo sentire e lo dicono esattamente nel preciso istante in cui non andrebbe detto. Così, senza volere, senza alcuna malizia. Perché loro non colgono la situazione, non capiscono al volo il contesto, l’interlocutore, la circostanza. No, loro non capiscono una beneamata ceppa! E così come il trillo di un cellulare durante una messa, o più prosaicamente una scoreggia nel bel mezzo di una cena di gala, se ne escono senza troppi pensieri. Hanno in testa una cosa da dire e la dicono.

Sono quelle persone che non vorreste incontrare quel determinato giorno, mentre siete impegnati in questa o quella situazione e invece eccoli lì, in tutta la loro pesantezza, con il loro alito cattivo che ti si avvicinano sorridenti e attaccano uno sproloquio su argomenti del tutto privi di interesse. E tu che vorresti essere in qualsiasi altro posto pensi che forse una bella capocciata sul naso potrebbe risolvere il problema. Ma sei contrario alla violenza. sei jnato e cresciuto nei valori della tolleranza. E infatti, nella sua assoluta saggezza, santa Madre Chiesa, ha inserito la sopportazione delle persone moleste fra le opere di misericordia spirituale. Del resto, in qualche modo il paradiso deve pur essere guadagnato. Speriamo almeno con compagni di viaggio all’altezza della situazione!

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