Duemila parole, non di più

Vecchi appunti universitari e rimembranze delle lezioni del compianto prof. De Mauro, (ricordate? ne avevo parlato in questo post a proposito di giochi linguistici) mi ricordano che il vocabolario italiano è composto da circa 400 mila vocaboli. Un numero enorme simile a quello spagnolo e a quello tedesco, molte più del francese, molte meno dell’inglese. Ma questi numeri dicono poco, perché comprendono anche tutte le varianti di un singolo vocabolo (singolare, plurale, maschile, femminile) o la coniugazione di un verbo. Eliminando doppioni e variazioni inutili possiamo dire che il lessico comune comprende circa 50 mila vocaboli. Peccato che nel 95% dei nostri discorsi ne usiamo circa 2000 (circa il 4%), che è il cosiddetto lessico fondamentale. Facciamo un paragone con i soldi: è come se ogni mese potessimo usare cinquantamila euro, ma ci ostinassimo a vivere con duemila. Ci autoimpoveriamo.

E siccome il linguggio è lo specchio del pensare, la realtà è che abbiamo impoverito il nostro pensiero e di conseguenza la nostra realtà. Un linguaggio (e un pensiero) povero non c’entra solo con la grammatica e con l’azzeccare i congiuntivi, ma è molto più grave. Perché è un linguaggio che ha perso la fantasia, che ha smarrito le sfumature, che non viene più usato per comunicare pensieri, convinzioni e ragionamenti, ma solo per distruggere, offendere, ridicolizzare.

Duemila vocaboli sono funzionale alla semplificazione delle comunicazioni, all’abbandono dei grandi ideali (chi capirebbe oggi la lotta di classe o l’alienazione del proletariato?) e ha come conseguenza la banalizzazione della politica (ladri, onestà, immigrati). Un linguaggio che non fa più nessuno sforzo di capire le ragioni dell’altro, nessun distinguo, nessuna prospettiva di mediazione, che va avanti per slogan, per frasi fatte o per insulti.

Ma in una società in cui non si legge più nulla (ormai anche gli sms sono stati superati dalle emoticon di whatup e facebook stesso è già vecchio rispetto a Instagram), dove in TV ci teniamo informati guardando Striscia la Notizia e ci appassioniamo di chi sarà eliminato ad Amici,  come potremmo riappropriarci delle altre 48 mila parole dimenticate? Non sarà che questa è ormai una guerra già persa? Non dovremo forse inventarci nuove strade per esprimere la ricchezza del linguaggio e quindi del pensiero? Magari con le canzoni, o con i filmati, chi lo sa. Magari un fumetto ci salverà!

Nella canzone, “Il ’56” De Gregori ricorda la sua infanzia come il periodo in cui “tutto mi sembrava andasse bene tra me, le mie parole e la mia anima”. Ecco, oggi forse dovremmo recuperare questa armonia che non c’è più.

Giochi linguistici (in memoria di Tullio De Mauro)

In un’altra vita mi sarebbe piaciuto andare lassù nel Klondike, per diventare un cercatore di sogni d’oro. Ma forse sarebbe bastato essere un addetto alle pulizie, che riuscisse a lavare i denti così bene fino a schiarire le idee. Oppure vorrei essere un dietologo per dimagrire i discorsi, eliminando le parole ricche di grassi e di zuccheri superflui. O un ascensorista, così da mandare giù i bocconi amari tutti d’un colpo, senza passare dal via e ritirare le venti mila lire.

Però un giorno farò una grandissima partita a scacchi e riuscirò a dare scacco matto. Così matto da fermarmi ad un semaforo con la musica della macchina a tutto volume, scendere e improvvisare passi di danza al suono dei Beach Boys. Perché bisogna sempre cercare scomesse improbabili e obiettivi possibili, ma soprattutto è meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita.

Allora potrei ricaricare le batterie così da rimanere sempre collegato, prima di tutto con le realtà. Oppure potrei fare un corso di cucina, per imparare a elaborare idee originali. Certo la cosa migliore sarebbe diventare un nuotatore, per sapersi tenere a galla anche in un mare di guai. Anche se io preferisco le montagne: pensa che bello sarebbe diventare un maratoneta, per correre in salita lungo i più impervi percorsi mentali.

Peccato che in matematica non ero bravo, altrimenti all’università invece che filosofia avrei potuto fare architettura, così forse avrei saputo costruire un futuro diverso. Sicuramente non avrei potuto fare il poliziotto, anche se fare degli arresti cardiaci a volte poteva essere utile. Ma anche il giardiniere e curare le piantine, così da sapersi orientare anche senza navigatore: che poi perché il navigatore? Mica vado mai in barca. Mah!

Più di qualsiasi altra cosa però mi piacerebbe diventare un osservatore per guardare il mondo con gli occhi dei cani. Che forse non parlano, ma sicuramente un linguaggio ce l’hanno. Eccome se ce l’hanno.

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