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Corsi e ricorsi

Il 23 novembre del 1980, esattamente 45 anni fa, all’Olimpico si giocava un Lazio Lecce. Me lo ricordo perché ho questa strana attitudine, un po’ autistica, per cui non mi ricordo un fico secco, ad esclusione delle partite della mia Lazio.

Poi me lo ricordo perché solitamente a quel tempo andavo allo stadio con mio padre. Erano anni difficili, la Lazio era stata appena retrocessa, ma noi eravamo comunque abbonati, come sempre. Quella domenica però vennero allo stadio anche mio fratello e addirittura mia madre. A memoria mia, la prima e l’ultima volta. 

Ma me lo ricordo soprattutto perché quella sera ci fu il terremoto dell’Irpinia. E infatti con un po’ di macabra ironia demmo la colpa alla presenza allo stadio di mamma.

Corsi e ricorsi, la storia a volte si ripete, ma mai allo stesso modo (e per fortuna, direi!). 45 anni dopo mio fratello ed io eravamo sempre allo stadio, c’era mio figlio e mia nipote, per lei prima volta allo stadio. Allora pareggiammo 2 a 2, stasera abbiamo vinto 2 a 0. Soprattutto non c’è stato nessun terremoto. Direi che stavolta è andata decisamente meglio!

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L’estate del ’79

Estate del ’79, Santa Severa e la spiaggia di sassi. Non sono più un bambino, ma non sono ancora qualcos’altro. Ancora mi devo mettere la crema solare, ma posso togliere quelle scarpette di gomma colorate che poi mi fanno abbronzare i piedi a strisce. Ancora non posso andare sull’Aurelia con la bicicletta, ma la sera posso rimanere fuori fino a mezzanotte. Ancora devo andare con i miei a messa, ma posso andare al cinema con gli amici.

E’ tutta l’estate che ti vengo dietro. E tu lo sai. Gioco a pallone e quando segno guardo verso di te per vedere se mi hai visto. In spiaggia ti guardo da lontano e tu guardi me che ti guardo. Poi è arrivato lui. Più grande, più alto, più biondo. E tu non guardi più nessun altro. Meglio pensare alla pesca con i vermi della tremolina che scappano dal secchiello e la mollica con il pecorino che ti lascia le mani puzzolenti per ore. A tredici anni il cuore è giovane e le ferite le rimargina velocemente.

Fino alla notte di San Lorenzo, con il fuoco sulla spiaggia e i sacchi a pelo per vedere le stelle e aspettare l’alba. Tu sei l’unica donna per me, canta Alan Sorrenti, Gloria, manchi tu nell’aria gli fa eco Umberto Tozzi. E anche senza di te I will survive mi suggerisce Gloria Gaynor. Senza di te che stai lì vicino al fuoco senza di lui. Senza di te che piangi e mi guardi. Senza di te, che senza una parola ti infili nel mio sacco a pelo.

Senza di te che il giorno dopo sei di nuovo fra le sue braccia e non mi degni neanche di uno sguardo.

Tredici anni, quando aspettavo il venerdì e tornavo prima dalla spiaggia per ascoltare la Hit Parade alla radio e sentire se lei era ancora al primo posto o era scesa in classifica. Perché è lei e solo lei il mio amore. Perché lei è come me, ha un cuore di vetro, che però non si rompe, resisterà al tempo, alla distanza e alle difficoltà. Ed ancora oggi che non sono più un bambino, ma ancora non so cosa sono, la ascolto e con un tuffo carpiato all’indietro mi ritrovo in quella calda estate del ’79.

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Quarant’anni è un battito di ciglia

Quarant’anni fa. Ci sono due teorie, due filosofie, due impostazioni di vita diametralmente opposte. Un po’ come destra sinistra, doccia o bagno, mamma o papà, mare o montagna: chi ama i “ritorni al passato”, chi ama ritrovare gli amici di un tempo per rivedere pezzi delle sue vite precedenti e chi invece odia tutto ciò.

Alcuni dicono “Ma se non ci siamo più visti da quarant’anni, ci sarà un motivo?” Logica stringente la loro, indubbiamente. Ma che come tutte le cose logiche e ragionevoli a me non convince. Ci possono essere cause occasionali o semplicemente casi della vita che ci allontanano. La vita è un treno in corsa, le situazioni cambiano, le cose e le persone sono in movimento. Eppure, alcune cose rimangono sempre uguali. Almeno per me. Sarò un’eccezione? Sarò un uomo con poca fantasia? Può darsi. Però.

Però se mi fermo a riflettere, non posso non riconoscere che, se escludo i figli, sono poche le cose o le persone veramente fondamentali che la vita mi ha aggiunto in questi ultimi quarant’anni. Amo la stessa donna (o quasi: a voler essere pignoli lei arrivò giusto un anno dopo), i miei amici, le persone a cui sono più legato sono le stesse, leggo ancora Tex, sono un filosofo della minchioneria e la Lazio è in grado ancora di esaltarmi o di deprimermi. Uomo di poca fantasia, senza dubbio.

Fatto sta che quarant’anni fa, in questo momento, probabilmente ero sui libri a studiare. Per la maturità. E così, in occasione di questo anniversario, ieri abbiamo organizzato una rimpatriata, cercando anche chi non avevamo più visto per tutto questo periodo. E se è vero che in realtà i compagni di classe con cui ero più legato continuo a sentirli (spesso) e a vederli (molto meno di quanto vorrei), però sono stato proprio felice di rivedere tutti gli altri. Persone che hanno fatto percorsi diversissimi, con cui però ho vissuto gli anni più belli della mia vita, quando il mondo era un quaderno bianco su cui scrivere, quando tutto era ancora possibile.

E il fatto di non avere rimpianti, il fatto di essere soddisfatto del percorso fatto da allora ad oggi, della storia scritta su quel quaderno, non toglie la nostalgia delle sensazioni che ho vissuto con loro quarant’anni fa. Non c’è contraddizione fra le due cose: possiamo essere pienamente realizzati, possiamo essere legittimamente orgogliosi di quello che abbiamo costruito e possiamo non avere alcun rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. Ma nulla, nulla al mondo mi potrà impedire di sorridere sognante ed incantato, ripensando a quell’anno. A quel leggendario, straordinario, irripetibile, millenovecentottantacinque. I ragazzi stanno bene, come cantano i Negrita, ed è sufficiente ritrovarsi di nuovo insieme, chiudere gli occhi e tornare ad essere noi, perché quarant’anni posso essere cancellati con un battito di ciglia.

Ma non mi va di raccogliere i miei anni dalla cenere, voglio un sogno da sognare e voglio ridere, non mi va! Non ho tempo per brillare voglio esplodere, ché la vita è una poesia di storie uniche. E intanto vai, vai che andiamo dentro queste notti di stelle, con il cuore stretto in mano e con i tagli sulla pelle. Ma i ragazzi sono in strada, i ragazzi stanno bene, non ascoltano i consigli e hanno il fuoco nelle vene. Scaleranno le montagne e ammireranno la pianura. Che cos’è la libertà? Io credo: è non aver più paura.

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Dell’amicizia e degli inganni del tempo

Giunti a questo punto potremmo essere vittime di un’impressione, un’idea che pian piano si consolida con i giorni, i mesi, gli anni. L’impressione è un dubbio che ti assale: l’idea che in fondo il passato non è poi così come effettivamente ce lo ricordiamo. Come fosse il riflesso luminoso di una stella estinta chissà quanti secoli fa. Ma non è così. La verità invece è che la tua vita da ragazzo, chi eri, quello che provavi, è molto più prossima di quanto avresti mai potuto credere. Nessun errore, nessun inganno: sei sempre tu, sei ancora qui.

Certo, sei diverso, sei evoluto (o involuto), ma il cambiamento, più o meno coerente con le premesse, non fa di te qualcosa di sostanzialmente diverso da ciò che eri. Perché puoi ingannare chiunque: amici, parenti, gente con cui lavori gomito a gomito tutti i giorni, persone appena conosciute. Puoi ingannare anche te stesso. Ma non puoi ingannare chi ti ha visto fare ginnastica in palestra in una tuta acetata o arrampicati sugli specchi durante l’interrogazione di greco. Per quanto possa sembrare strano, illogico, persino ingiusto, difficilmente troverai persone che ti conoscono meglio.

E allora arrivi a capire una grande verità. Invecchiare non significa un bel niente. Puoi cambiare i connotati, puoi diminuire i capelli, puoi ingrassare o riempirti di rughe, ma alla fine dei conti, quel che sei veramente rimane inalterato. I desideri, le paure, le piccole o grandi ansie della vita. Ed è proprio con loro che te ne accorgi. Su di loro e su te stesso.

E quando te ne accorgi non puoi non volergli un bene dell’anima. Anche se le vedi poco o mai, anche se apparentemente sono diventati dei quasi sconosciuti. Persino se puoi arrivare a pensare che se le incontrassi oggi mai e poi mai ci diventeresti amico. Non importa. Loro sanno chi sei, ti conoscono per quello che sei nel tuo intimo, in ragione di esperienze irripetibili. Per aver condiviso con te il foglio bianco della tua vita, quando tutto era ancora possibile, prima che tu compissi le scelte che poi ti hanno portato ad essere quelle che sei oggi.

Per essere felici, come per amare incondizionatamente, ci vuole carattere, ci vuole voglia, costanza. Forse però dobbiamo renderci conto che la felicità, come l’amore, non si trova in ciò che abbiamo raggiunto, ma in quello che siamo riusciti a mantenere, in ciò che non abbiamo perduto.

Amico è bello, Amico è tutto, è l’eternità! E’ quello che non passa, mentre tutto va! Amico! Amico! Amico!
Il più fico amico, è chi resisterà! Chi resisterà! Chi di noi, chi di noi resisterà!!!

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17 agosto 1986

Tempo di ricordare, tempo di festeggiare, oggi voglio ritirar fuori questo post, perché le cose importanti non vanno taciute…

Non c’erano mica i cellulari. Eh no! Se volevi chiamare qualcuno dovevi avere le fortuna che il telefono di casa fosse libero. Oppure armarti di gettoni, pazienza e speranza. Di trovare una cabina libera e funzionante.

Non c’erano i social network, ovviamente. A dire il vero non c’erano proprio i computer, se non per gli addetti ai lavori o per chi si dilettava con i primi Commodore. Grillo faceva ancora ridere e Berlusconi era semplicemente un imprenditore di successo che proprio in quell’anno coronava il suo sogno di bambino, comprando la sua squadra del cuore che non se la passava tanto bene. Ancora peggio andava alla mia Lazio, travolta dall’ennesimo scandalo scommesse e costretta a ripartire in campionato con un handicap pesantissimo di 9 punti. A quel tempo infatti la vittoria valeva solo due punti! Meno male che ci pensavano i cugini a risollevarci un po’ il morale, perdendo in casa contro un Lecce già retrocesso e buttando alle ortiche un campionato già vinto. Nel resto del mondo Maradona, con la “mano di Dio”, vinceva il suo mondiale, mentre anch’io coronavo il mio sogno di bambino, cominciando a lavorare al Messaggero.

C’era ancora l’Unione Sovietica che dava gli ultimi sussulti con un leader quasi simpatico, con una grande voglia sulla zucca e parole finalmente distensive. Da noi Arbore la faceva da padrone in tv con Indietro tutta (bissando il successo di Quelli della Notte) e al governo comandava un socialista con la mascella volitiva. No, non quello di Predappio, quell’altro! Comunque non era certo un’età dell’oro, i disastri c’erano anche allora. E che disastri! Chernobyl, la mucca pazza, non ci facevamo mancare nulla.

In musica, a parte la solita disco music, un sacco di gruppi rock si andavano sciogliendo: i Pink Floyd, i Genesis, i Supertramp, i Clash, i Police. E per fortuna che c’erano gli U2 e i Simple Minds (oltre al Boss, ovviamente) a dire ancora qualcosa di sensato. In Italia non andava meglio, anzi, era il crepuscolo dei cantautori. Vasco Rossi aveva terminato l’anno prima con Cosa succede in città, Battisti, Bennato e De Gregori avevano già detto tutto quello che avevano da dire, Venditti tirava fuori l’ultimo album decente della sua carriera. Al cinema, come citava lo stesso Venditti poteva capitare di vedere… “9 settimane e mezzo, La mia Africa, con la stessa donna, nella stessa sera”.

Eh già! Com’è lontana quell’estate dell’86. E insieme com’è vicina. Ci siamo ancora tutti, o quasi. Effettivamente qualcuno s’è perso, ma i vent’anni non passano mica, rimangono per sempre, che tu lo voglia o no. Sono impressi a fuoco nella mente, come le targhe delle macchine, le canzoni che ascoltavi, le canne che fumavi e quella sensazioni di irrequietezza, quella voglia di fare, di andare, di costruire. Nell’estate dell’86, fosse stato per me, non avrei dormito mai!

E noi cominciammo a sceglierci. Cominciammo allora, quasi per gioco, come cominciano gli amori estivi, senza pensieri, senza ansie, né aspettative. Chi ci avrebbe creduto? Noi certo no. E forse questo è stato il segreto della longevità. 17 8 86. Quante volte me lo sono giocato al Lotto questo terno. Niente, neanche un ambo! Ma in fondo va bene lo stesso. Senza neanche puntarci una lira (eh già, ovviamente c’erano le lire!), vincemmo qualcosa di ben più importante. Perché al Lotto ci vinci una volta nella vita, qui invece la scommessa si ripete ogni giorno. Cominciammo allora, ma continuiamo oggi, perché non è mica vero che si sceglie una sola volta per sempre. Cominciammo allora a sognare una vita e ogni giorno abbiamo costruito una vita da sogno.

And you know that I’m gonna be the one, Who’ll be there, When you need someone to depend upon. When tomorrow comes

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Un anno dopo

Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia (W. Shakespeare)

Signore sei tu? No, è il breviario sull’organo! (Aggiungi un posto a tavola)

E così è passato un anno. 365 giorni, anzi 366 perché questo è pure bisestile. Non ci sei, ma in ben pochi di questi giorni non ti ho comunque sentito accanto. In pochi non ho continuato a discutere con te, immaginando le tue risposte, i tuoi commenti. D’altra parte ci conosciamo talmente bene che, soprattutto ultimamente, non c’era bisogno di parole per confrontarci su fatti o persone.

Mi è capitato spesso di dire, ora lo chiamo e ci facciamo due risate alla faccia della Meloni o di Salvini. Un po’ come il prete di Aggiungi un posto a tavola, il dialogo non si è mai interrotto. Anche se magari, appunto come capitava a lui, pensavo di parlare con te, ma in realtà tu in quel momento avevi di meglio da fare lassù, che stare appresso alle nostre beghe quotidiane.

Un episodio però lo voglio raccontare, perché nella sua unicità, è stato emblematico del legame che ha continuato ad esserci fra noi in questo anno passato. Era l’estate scorsa, eravamo a Rocca di Mezzo già da un paio di settimane, siamo passati in farmacia per prendere una pomata e ho detto ad Ale “pensa tu, siamo qui da un pezzo e ancora non eravamo entrati in farmacia. L’anno scorso con papà ci toccava venire un giorno sì e l’altro pure!

Piccola premessa. Nel mio cellulare, oltre la suoneria standard (da sempre il pezzo iniziale di Firth of Fifth dei Genesis), ho diverse suonerie a seconda delle persone in rubrica: Ale, mio fratello, i miei figli, qualche amico che sento di più. Una cosa utile perché sai chi ti chiama, prima ancora di vederlo. Ovviamente anche papà aveva una sua suoneria: a lui, ragazzo degli anni 50, avevo dato Suspicious Minds di Elvis.

Ora torniamo nella farmacia di Rocca di Mezzo. Mentre dico quell’affermazione ad Ale, improvvisamente, risuona forte e chiara Suspicious Minds: ci guardiamo perplessi, tiro fuori il cellulare, che ovviamente non stava suonando. Mentre guardo sempre più sbalordito il mio telefono spento, davanti a noi una signora tira fuori il suo cellulare e risponde. Non sono uno statistico, quindi provo a chiedere a voi: quante persone conoscete che hanno quella suoneria? Quante possibilità c’erano che un’altra persona con quella suoneria fosse nella farmacia di Rocca di Mezzo mentre ero presente anche io? Quante possibilità c’erano che il suo cellulare suonasse un attimo dopo che io avevo detto quella cosa?

Insomma, da lassù ti sarai fatto una bella risata alla faccia mia (e di Ale che era rimasta più esterrefatta di me). Perché davvero, cari viaggiatori ermeneutici, come dice Amleto al suo amico Orazio, sono sempre più convinto che ci siano lassù molte più cose di quelle che possiamo immaginarci.

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Gennaio, la Tiburtina e un ricordo indimenticabile

E’ gennaio. Che tu pensi oddio, ma non finisce mai e invece finisce anche lui. Ti prende nel pieno dell’inverno e ti porta alle soglie della stagione nuova, che tu pensi oddio non arriva mai e invece arriva. Sono i lavori sulla Tiburtina. Che fanno talmente parte del paesaggio che pensi, sul serio questi non finiranno mai e invece un giorno passi trovi tutto stranamente libero e ti chiedi se per caso hai sbagliato strada. C’è quello sceneggiato in TV che ti guarda tutte le sere mentre stai mangiando e ormai ti fa compagnia al punto che quando non c’è quasi ti passa l’appetito.

E’ il tempo che passa e smuove anche l’apparente inamovibile, che in un battito d’ali cambia radicalmente anche quello che c’era sempre stato e pensavi non finisse più. Ieri se n’è andato il fratello grande del mio papà: aveva 102 anni, non ha mai saputo che il suo “fratellino” non c’era più, non abbiamo voluto angustiarlo e continuavamo a raccontargli che papà era in ospedale e non poteva sentirlo. Chissà se ci ha creduto! Era lucido e in salute, per quanto possibile a quell’età: una vera forza della natura, campione di pattini a rotelle e hokey su pista da giovane, ballerino, pescatore, camerman ufficiale della famiglia in tutti gli eventi festaioli. Aveva fatto la guerra in Russia, dopo il 43 era tornato a piedi da Leopoli, sfuggendo ai russi per miracolo, arrivando a Roma tre mesi dopo, quando pesava meno di 50 chili. Una vitalità travolgente, un allegria contagiosa, innamorato della vita nonostante gli acciacchi ed un glaucoma che da qualche anno lo aveva reso quasi totalmente cieco.

Passa la scena di questo mondo è vero, niente è realmente immune al cambiamento e ogni cosa è destinata ad avere un termine. Ma allo stesso tempo possiamo anche dire che certe cose non cambiano mai e continuano ad esserci anche quando non ci sono più. Si tratta di assumere un’altra prospettiva, di leggere le cose in maniera più articolata e custodire nel cuore quello che il tempo, le situazioni e gli altri ci hanno lasciato. Per farlo diventare parte di noi e non farlo finire mai.

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La strada di casa

And I’ve done nothing wrong, but I can’t find my way home

Ma partiamo da un’altra canzone. Forse non altrettanto bella, ma sicuramente anche questa molto attinente al tema. E mi scuserà il buon Rod Stewart se me la prendo in prestito storpiandone il titolo: The last cut is the deepest, perché per me è andata così…il taglio più profondo, quello più doloroso non è stato il primo, ma l’ultimo. Oggi abbiamo venduto la casa dei miei genitori, la casa in cui siamo nati e cresciuti mio fratello ed io. Quest’ultimo mese l’abbiamo passato a dare via cose: prima i parenti, poi i mercati dell’usato, le seconde case, te lo regalo se te lo vieni a prendere. E poi da ultimi, discarica e cassonetti. Con la fatica fisica a nascondere quella del cuore, dando via ogni giorno un pezzetto di passato, una storia, un ricordo.

Una specie di terapia del dolore, che però alla fine non anestetizza, anzi acuisce i sensi, come un fuoco che si alimenta giorno per giorno, aumentando d’intensità il calore. Fino a oggi, quando devi arrenderti alla realtà dei fatti. Quel luogo non sarà più tuo. Quel posto dove hai vissuto i ricordi dell’infanzia, quella stanza dove hai passato l’adolescenza, quel giardino dove giocavi a pallone, dove hai festeggiato mille e mille occasioni, quel luogo dove tornavi quando volevi sentirti “a casa”. Quello lì. Non c’è più. Sarà strano passarci davanti. Sarà inevitabile visto la vicinanza a dove abito ora, ma sarà davvero strano.

Quello che abbiamo potuto l’abbiamo conservato, certi oggetti, insieme ai ricordi resteranno con noi. Ma quello è il contenuto, il contenitore non ci sarà più. Io poi ho sempre detto che non mi affeziono alle cose. Non è un merito o un motivo di orgoglio, semplicemente non ci riesco. Non mi affeziono alle cose e nemmeno alle case o almeno così pensavo. Ma ora ho capito. Non mi affeziono semplicemente perché tutte le altre non hanno mai pareggiato la prima.

Da una certa prospettiva ora che quella casa non ci sarà più sarà ancora più semplice: perché non ci sarà più nessuna way home da trovare. Voltiamo definitivamente pagina. L’unica cosa certa del futuro è che non sarà come ce l’eravamo immaginati, l’unica cosa certa del passato è che non tornerà più. Viviamo il presente, trattendendo i dolci ricordi, sognando nuovi progetti. E cerchiamo di essere felici, con gli uni e con gli altri.

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Inspiegabile magica miscela

Ed eccoci arrivati. Sapevo che sarebbe stata dura, ma d’altra parte sarà solo il primo di tante cose. Il tuo primo compleanno, poi ci sarà il primo Natale e poi via via tutto il resto. La certezza di pensarti felice insieme al tuo amore, a festeggiare insieme finalmente di nuovo, mi consola solo in parte. La serenità non cancella la mancanza e tu mi manchi ogni giorno. Mi manca la telefonata delle 10 della mattina, mi manca la visita prima di cena, la telefonata della buona notte.

Sto facendo i conti con questa nuova situazione di orfano. E’ buffo pensarsi così quando si è ben oltre i cinquantanni, i veri orfani sono bambini, adolescenti, insomma non le persone adulte. Ma c’è poco da ragionare, senza i genitori si torna bambini. Ed è una strana sensazione, quasi dimenticata in questi ultimi anni in cui i ruoli si erano necessariamente invertiti ed eri tu il bambino da accudire. Ma anche debole, anche bisognoso di cure e di attenzioni, eri comunque la mia roccia e il mio scudo, la persona che mi ha sempre sostenuto senza mai il minimo dubbio. In fondo che cos’altro è l’amore se non questo strano miscuglio, questa inspiegabile magica miscela di dare e ricevere, di accogliere ed essere accolti, di cercare riparo ed insieme essere scudo?

Non deve essere un brutto giorno oggi. Anzi, tutt’altro, festeggeremo, magari con qualche lacrima, ma alzeremo i calici e brinderemo perché così starete facendo lassù e perché così avresti voluto quaggiù. Tanti auguri Pietro nonno, come disse qualche anno fa la mia Elisa. E da domani continueremo ad andare avanti, al meglio delle nostre possibilità. Un po’ più soli, ma con la certezza che tu sarai sempre con noi ugualmente.

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.” (Le Confessioni, Agostino di Ippona)

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Caro Diario

Abbiamo sempre saputo che papà aveva un agenda su cui segnava le cose. Ogni anno sotto Natale, fra le mille incombenze a cui mi sottoponeva, c’era anche quella della ricerca dell’agenda: doveva essere giornaliera e non settimanale, preferibilmente con l’indicazione dei santi, non tanto grande, né tanto piccola perché doveva entrare in uno specifico porta agenda in pelle.

Cosa realmente segnasse su queste agende però non era molto chiaro. Sicuramente i compleanni e gli anniversari: si ricordava di tutti e per ognuno era sempre il primo a telefonare per fare gli auguri. Poi sapevamo che segnava le cose che doveva comprare, o meglio, le cose che io dovevo comprargli! Dalle medicine alle cose da mangiare, liste della spesa per ogni cosa. Poi le partite nazionali e internazionali, con i risultati, meglio di tutto il calcio minuto per minuto.

Mettendo a posto le sue cose mi sono capitate anche queste famose agende. Tutte messe in fila una dopo l’altra, almeno quelle degli ultimi quindi anni. Ma a questo punto dico, peccato che abbia buttato le precedenti. Perché in realtà sono dei veri e propri diari della sua vita. Ci sono commenti su quello che accadeva, sui fatti di cronaca, sugli eventi sportivi. Ci sono particolarità da Settimana Enigmistica, curiosità e cose che segnava per chiedere spiegazioni poi a qualcuno. Parole in inglese scritte come si pronunciano, oppure termini tecnici a lui sconosciuti. Oltre ovviamente ai commenti su quello che accadeva a noi, ai nipoti, quello che aveva mangiato a casa di tizio o di caio, se era andato al bagno, se quel giorno aveva piovuto o se faceva molto caldo.

E così, sfogliandole fra un sorriso e una lacrima, mi scorre davanti la quotidianità delle sue giornate: le partite di calcio viste in Tv, quelle a carte con noi, con i nipoti o con gli amici del centro anziani. Uno dei suoi rammarichi più grandi era stato quello di non avere imparato ad usare il computer. Ma queste agende mi fanno rivalutare il mondo analogico e restituiscono una fotografia della sua vita che nessun computer, neanche il più potente, avrebbe potuto ricreare.

Laura Pausini è dimagrita di 16 chili. Renzi bischero. Bar Voce gelato 3,30 (ladri). Eris Dio della discordia. Megastore, negozio gigantesco. San Sebastiano, grande festa in India. Mohamed e Blanco festival S. Remo. PNRR Piano nazionale di ripresa e resilienza. Novembre 2008 visita ad Arcevia. Misogeno che non ama le donne. Salvini Meloni due ragazzi che giocano con la storia. 23 anni Halland norvegese 100 milioni. SLA grave forma di sclerosi. S. Pietroburgo la Neva fiume grande come il Volga. Pisicologia la scienza dell’anima. Cumulonembi nuvole dei temporali (viola). Mancini sbruffone Gnonto italiano in Svizzera. Matteo Zuppi Cei. Uganda Tanzania oleodotto. Crisma olio per la cresima. Spremuta di melograno. Monza in serie A Berlusconi. Smach colpo di tennis