Il referendum è bello, ma non ci vivrei

Se ho un problema con l’impianto elettrico non faccio un’assemblea di condominio per stabilire che tipo di intervento va fatto per risolvere. Così pure se mi si rompe la macchina, non indico una consultazione pubblica per verificare come intervenire. E se mi fa male un dente o la pancia, non mi metto a chiedere il parere di gente incontrata per strada per stabilire che debbo fare. Non faccio così e nessuno, che mi risulti, si comporta così. Chiamiamo un esperto, ci affidiamo a chi ne sa di più, magari ne sentiamo più d’uno, ma alla fine dei conti cerchiamo le competenze, perché sono quelle che contano. Non mi interessa l’opinione della signora Maria del terzo piano, perché l’opinione di cento, mille, un milione di incompetenti non varrà mai l’opinione di una sola persona colta, che ha studiato le materia, che sa per filo e per segno di cosa si parla e cosa si deve fare.

Per questo, tendenzialmente, la democrazia diretta mi fa orrore. I referendum in generale penso siano l’estrema ratio a cui si debba far ricorso in via del tutto eccezionale e per questioni semplici, che riguardino in modo diretto la vita di ognuno, ma soprattutto che non comportino competenze specifiche. Altrimenti si fanno disastri, come per le scelte energetiche che stiamo pagando ora, oppure si buttano i soldi: quante cose belle potevamo fare con questi 400 milioni di euro che abbiamo buttato dalla finestra? Sul serio non c’era un modo più intelligente di spenderli?

Ma la cosa che deve far riflettere di più è lo scollamento sempre più netto, sempre più evidente, fra le persone normali e chi ci governa. Qualcuno ha pure il coraggio di scandalizzarsi o di stupirsi che sia andato a votare il 20% degli aventi diritto? Usciti da una pandemia, spaventati da una guerra alle porte, fiaccati da una crisi economica, chissà mai perché l’80% degli italiani ha deciso che dei 5 referendum gliene importava meno di un fico secco. Chissà, chissà perché…davvero un mistero!

Io avrei tre proposte semplici semplici (che ovviamente non saranno prese in considerazione, ma io le dico lo stesso): stabiliamo una volta per tutte quali sono le (pochissime) materie che vanno sottoposte a referendum; alziamo, anzi decuplichiamo il numero di firme necessarie; introduciamo un fidejussione per i proponenti che vada eventualmente a ripagare i costi se non si raggiunge il quorum. Ma soprattutto mandiamo in Parlamento persone che legiferino, che si riprendano la responsabilità di fare quello per cui sono pagate, senza tirare per la giacchetta la povera signora Maria, che ha (giustamente) altri pensieri per la mente (e comunque è senza dubbio più saggia di loro).

L’Italia liberata e l’Italia da liberare

La retorica di parte, di qualsiasi parte, quella dei vinti, quella dei vincitori, quella di chi c’ha ragione e quella di chi c’ha torto.

La riproposizione di tesi e antitesi smentite dalla storia, superate dai fatti, cancellate dalla memoria di tutti i giorni e ritirate fuori la domenica come il vestito della festa.

Gli schieramenti, il senso di appartenenza del tifoso, noialtri e voialtri, la necessità del nemico.

Gli ideali traditi, strumentalizzati, usati per altri scopi e poi dimenticati, cancellati.

La rievocazione di un passato che in realtà non passa mai, che tutt’al più da dramma diventa farsa, che riempe le bocche e svuota i cervelli.

Buona festa della liberazione a tutti.

Morire per Danzica

Vale la pena morire per Danzica? Così si chiedevano i politici francesi nel settembre del 39. Qualche mese dopo i tedeschi marciarono su Parigi e la occuparono per quattro anni. La situazione non è proprio la stessa, ma certo la storia sembra divertirsi a riproporre situazioni analoghe, percorsi già battuti, scenari già visti.

E noi oggi cosa siamo disposti a fare per Kiev? Al di là delle dichiarazioni di disapprovazione, al di là dei 5 minuti di ritardo delle partite di serie A (immagino Putin roso dalla rabbia e dal timore dopo aver saputo che Salernitana Bologna cominciava alle 15,05 invece che alle 15….). Con l’uso delle armi non si risolvono le dispute internazionali: lo dimostra l’Afghanistan, lo dimostra la questione palestinese, la storia è piena di esempi da citare al proposito. La guerra è solo “un gran giro de quatrini“, come diceva saggiamente Trilussa, sulla pelle della povera gente. Allora che fare? I valori della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli vanno affermati in tutti i modi e con tutti i mezzi, tranne quello.

Ma i mezzi e i modi utilizzati devono essere efficaci, altrimenti si limitano ad una solidarietà pelosa, l’indignazione a comando. Mettere sanzioni e poi escludere l’unica sanzione che conta, che senso ha? Chiudere i rubinetti del gas, quella sarebbe l’unica vera azione efficace. Certo, questo significherebbe chiudere i riscaldamenti delle case, farsi il bagno con l’acqua bollita, lasciare ferma la macchina: siamo pronti a farlo per un giorno, una settimana, un mese? Siamo propensi a metterci davvero qualcosa del nostro per affarmare quei valori? Siamo disposti, non dico a morire, ma almeno a pagare in prima persona per difendere Danzica, Kiev e qualsiasi altro piccolo della storia? Altrimenti stiamo zitti e per favore, almeno evitiamo il “Je suis qualchecosa” e le bandiere ucraine sui nostri profili di FB.

Ancora a proposito di meritocrazia

Ci sono cose giuste e cose sbagliate. E poi ci sono cose giuste fatte male. Ora sarà un caso, saranno state le circostanze avverse, la congiuntura sfavorevole, il destino cinico e baro, la pandemia, “ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette”…Fatto sta che i due provvedimenti creati, scritti e fortemente voluti dai 5 stelle, si sono rivelati fonti di truffe smisurate.

Dare un sussidio a chi è rimasto, spesso suo malgrado, fuori dal mondo del lavoro, dargli la possibilità di un’esistenza dignitosa in attesa di rimettersi in gioco, è un provvedimento sacrosanto. Non a caso presente, in varie forme, in tutti i Paesi occidentali, soprattutto (ma non solo) in quelli socialdemocratici, che ritengono fondamentale una funzione dello Stato, non solo come arbitro della partita del libero mercato, ma anche come equo riparatore delle storture del libero mercato stesso.

Altrettanto sacrosanto, soprattutto in un momento in cui va rilanciata l’economia, è un provvedimento che aiuta le imprese, accompagnando il Paese verso una gestione più efficiente delle risorse energetiche. Ma se uno vale uno e a scrivere le leggi ci va uno che fino a quel momento ha fatto tutt’altro nella vita, quale pensi sarà il risultato? Se il merito, le conoscenze, la professionalità non contano più, ci si può stupire di esiti come questo? Come si è potuto pensare che non fare selezione potesse essere la soluzione?

La sincera ingenuità di alcuni mi lascia sempre perplesso. Non so, è come se nel momento in cui scoppiasse una pandemia mondiale, la gente invece di affidarsi ai medici e alla scienza decidesse di seguire le cure del primo scemo che scrive sui social. No, mi sa che ho sbagliato esempio. (Il primo che indovina la citazione e lo scrive sui commenti vince un premio e una menzione speciale!)

Sogno il mio Paese infine dignitoso

A volte i sogni sono lontani dalla realtà. E a volte con i sogni si possono individuare obiettivi irraggiungibili, irrealizzabili. Ma se smettessimo di sognare, se smettessimo di avere traguardi che vanno al di là delle possibilità concrete, forse non saremmo mai arrivati sulla luna. Non avremmo scoperto l’America al di là dell’Oceano, non avremmo trovato la soluzione a malattie inguaribili, non avremmo raggiunto i record nello sport.

Avere la voglia di inseguire un sogno che la logica ci dice irrealizzabile sposta il confine fra quello che possiamo e quello che non possiamo raggiungere. Inseguire un sogno significa progredire, gettare il cuore oltre l’ostacolo e creare un nuovo capitolo nella storia del mondo.

Lo so che è anziana. Che forse non ha più l’energia, le forze e la voglia o le competenze per ricoprire un ruolo così importante. Ma fosse solo per un anno, per un mese, fosse solo per un giorno, io penso che ne varrebbe la pena. Per quello che è, per quello che rappresenta, per quello che potrebbe significare per l’Italia, per l’Europa, per il mondo. Per mettere la parola fine ai deliri di qualcuno, per chiudere una storia, anzi un incubo durato troppo tempo. Io sogno Liliana Segre Presidente della Repubblica.

C’è chi guarda le cose come sono e si chiede “perché”. Io penso a come potrebbero essere e mi chiedo “perché no?” (Robert Kennedy)

Credevo fosse amore, invece era una spazzola

Oppure potevo intitolarlo, credevo fosse una burla, invece era una candidatura. Perché in effetti è paradossale questa discussione che si è aperta su una possibile candidatura di Berlusconi a Presidente della Repubblica. Berlusconi, quello delle cene eleganti, quello della nipote di Mubarak, quello dello stalliere mafioso, con i mille conflitti di interesse e le leggi ad personam, che faceva le corna mentre lo fotografavano con i grandi della terra e dava della culona inchiavabile a Frau Angela. Esattamente, quello lì.

Paradossale solo pensarlo. Paradossale in qualsiasi altro Paese occidentale, con una tradizione democratica alle spalle, fondato su uno Stato di diritto. Non credo che si concretizzerà, non voglio neanche pensare a questa eventualità. Ma già l’averla pensata, già aver discusso per giorni su questa possibilità, mi sembra una follia, una cosa talmente inverosimile che potrebbe essere possibile solo in uno di quei Paesi della banane, in cui che so, un comico si diverte per scherzo a fondare un partito e la gente lo va a votare e gli fa pure vincere le elezioni. No, mi sa che ho sbagliato esempio.

Eppure noi siamo il Paese nato dalla resistenza, con una Costituzione bellissima, che deve essere un vanto. Un Paese con una Repubblica relativamente giovane, ma che in settant’anni di storia ha combattuto le mafie, i rigurgiti nostalgici, le strategie della tensione delle logge e dei servizi deviati, i deliri brigatistici. Un Paese che ha pagato un tributo di sangue per difendere i suoi principi, con degli anticorpi democratici a prova di qualsiasi virus, che non può commettere un errore così marchiano. Non può sbagliare fino a questo punto.

Anche se purtroppo è vero che tutti possono sbagliare. Come disse quel riccio, scendendo dalla spazzola.

Bla bla bla

Non dico che non abbiano ragione. Non dico che non sia corretto da parte loro rivendicare un domani diverso. Non dico che non siano giustamente arrabbiati con le generazioni precedenti (quindi anche noi) che gli abbiamo ipotecato il futuro con scelte scellerate. Però…

Io non vivevo nell’aria condizionata a scuola, in macchina, a casa, nei centri commerciali. Non avevo una macchina mia, mi muovevo in autobus (conoscevo le coincidenze del 60 notturno, come il mio amico Rino), non avevo voli low coast per fare i fine settimana in giro per l’Europa (tutt’al più l’estate della maturità me la sono fatta con l’inter-rail). Non ero connesso con dispositivi che mi permettessero di parlare/scrivere/leggere e quindi essere in contatto con il resto del mondo H24. Tutt’al più avevo i gettoni telefonici.

Insomma, ragazzi miei, sicuramente la politica dei grandi è stata (anche) tanto bla bla, ma siamo sicuri che non siate anche voi un pochino (non tanto) responsabili di quello che sta succedendo e di quello che – se non cambiamo radicalmente stile di vita – succederà in futuro?

(Not) in my name

Il portabandiera è un simbolo. Un’immagine che rappresenta tutti, che racchiude in sè una moltitudine di individui. Tutti diversi, ma tutti riuniti, tutti compresi all’interno di un insieme.

Una volta era in battaglia, oggi per fortuna solo alle Olimpiadi, ma comunque seppure solo ai giochi, il portabandiera è il rappresentante di una nazione. Ci rappresenta tutti perchè tutti ci possiamo riconoscere in lui. Ma oltre il portabandiera nazionale ci sono poi quelli olimpici, che non rappresentanto il singolo Paese, ma tutto il mondo, tutte le nazioni insieme.

Ma ora ditemi, con tutta l’apertura mentale possibile, come faccio a riconoscermi in Paola Egonu? Fatemi capire, l’avete scelta come portabandiera perchè rappresentasse non solo tutti gli italiani, ma tutti i cittadini del mondo? Ma l’avete mai sentita parlare? Come potrei mai riconoscermi in lei? Come potrei mai sentirmi rappresentato da una come lei? Una che parla con quel dialetto Veneto? E dai su, non scherziamo!

P.S. Invece sto a scherza’ Paole’. Faje vede’ chi sei! Sentire Adinolfi e tutti i nazisti dell’Illinois de noantri che schiumano rabbia non ha prezzo…..daje Paoletta, daje!

Non è un Paese per giovani (tranne gli influencer e quelli che fanno rock)

Che un gruppo di tardo adolescenti un po’ coatti abbia vinto un festival della canzone di cui francamente ignoravo l’esistenza fino all’altro giorno, me ne importa il giusto. Così come dei malumori dei Francesi, che fin dai tempi di Bartali si sa che si incazzano e i giornali poi svolazzano. Mi lascia più perplesso la capacità (o forse dovrei dire il potere) di una che nella vita ancora non ho capito bene cosa faccia e quali competenze abbia, che però riesce a smuovere le folle più di qualsiasi leader politico. Ma quello perché sono anziano – direbbero i miei figli – e non capisco le dinamiche giovanili.

Ma chi li capisce i giovani? Sicuramente non si lasciano imbrigliare in categorie tradizionali, anche quando fanno finta di essere sovversivi (a proposito dei Maneskin, per carità fanno anche canzoni divertenti, però come dice il mio amico Pank, danno sempre l’impressione che in realtà vorrebbero dire “mamma, guarda come sono trasgressivo“), anche quando seguono quello che dice una Influencer. Ma forse sul serio sono io che sono anziano e poco moderno (un cocetto che il pensiero non considera).

Un po’ come il povero Enrico Letta. Che mica aveva detto una stronzata! Destiniamo a 280mila diciottenni (di famiglie a reddito medio-basso) un assegno di 10 mila euro spendibili per formazione, lavoro o alloggio, finanziando l’operazione con l’aumento della tassa di successione sui patrimoni che superano i cinque milioni di euro, toccando dunque le tasche solo dello 0,3% per cento degli italiani, i più ricchi. 

Se avesse proposto di abolire il campionato di calcio probabilmente avrebbe avuto meno critiche! Proposta inutile, demagogica, populista, strumentale, inefficace, ridicola, gliene hanno dette di tutti colori e non solo quei quaquaraquà del centrodestra. Persino il saggio Draghi ha bollato l’idea come inopportuna. Il benaltrismo della politica italiana è disarmante. C’è sempre qualcosa di più importante da fare, di più urgente, di più efficace. E quindi non si fa nulla.

Certo, 10 mila euro non cambieranno la vita, ma ad esempio, finanzierebbero un corso di studi universitario. E soprattutto l’idea che chi più ha, più deve dare una mano, mi sembra un criterio da valorizzare. Invece no: creiamogli opportunità di lavoro, non diamogli l’elemosina! Che è come dire, non ti compro le scarpe nuove, perché invece sarebbe meglio regalarti una Ferrari. Anzi, una Ferragni. Vogliamo scommettere che che se questa proposta l’avesse lanciata lei, avrebbe avuto tutt’altro successo? In vista delle prossime elezioni, fossi il PD comincerei a farci un pensierino.

Colpa, giustizia, perdono e memoria

Fa notizia la decisione della Francia che dopo oltre 40 anni, ha deciso di concedere l’estradizione per gli ex terroristi rifugiati lì e condannati da sentenze defintive. Ho letto diversi contributi che partendo da punti di vista differenti, danno letture anche opposte: secondo alcuni (direi la maggioranza) finalmente si è fatta giustizia. Anche se solamente una dozzina di ex terroristi saranno estradati, a fronte di oltre un centinaio di persone coinvolte negli anni, è un segnale importante nei confronti della giustizia e soprattutto delle vittime e dei loro familiari.

Qualcun altro ha invece espresso l’idea che a distanza di oltre quarant’anni dai fatti, si sia trattato di un accanimento inutile, un’inutile ritorsione politica: molte delle persone coinvolte sono ormai anziane, malate, difficilmente sconteranno in carcere la loro pena. Adriano Sofri, uno personalmente coinvolto in quelle vicende, scriveva appunto questo, sottolineando un aspetto interessante: in oltre quarant’anni nessuno di coloro che ha trovato rifugio in Francia si è mai macchiato di alcun crimine. E ci mancherebbe, qualcuno potrebbe dire! Invece non era così scontato.

In fondo il carcere, oltre al far pagare il debito che uno contrae con la società quando commette un crimine, dovrebbe avere come obiettivo il rendere innocui coloro che hanno fatto del male e non ultimo, cercare di redimerli, rendendo possibile un loro reinserimento nella società civile. L’asilo in Francia, garantito dalle norme volute da Mitterand a coloro che si erano macchiati di crimini politici, sembra (forse più di qualsiasi carcerazione) aver raggiunto questi due aspetti non secondari.

Certo resta il primo aspetto, non trascurabile. Come possono sentirsi i familiari delle vittime? Uno di loro in un’intervista sottolineava che appunto, incarcerare un vecchietto oggi non può ridare nulla di tutto quello che hanno perso, se non un senso di giustizia che viene finalmente rispettato. Tutti coloro che ho sentito dicono di cercare giustizia e non vendetta ed è bello sentirlo. Anche questo non è scontato perché vedere rimanere impuniti per anni crimini come questi, potrebbe scatenerebbe in chiunque un senso di rivalsa (e quindi di vendetta), figuriamoci in chi è personalmente coinvolto.

Ma se lo stato d’animo delle vittime è prevedibile, non altrettanto lo è quello dei carnefici. Si sono pentiti? Vivono nel rimorso degli orrori che hanno compiuto? Riconoscono che i caduti erano persone, padri, figli, fratelli e non solo rappresentanti di quello Stato che loro volevano combattere? O al contrario, continuano a pensare di essere stati semplicemente soldati in una guerra persa? Aver evitato una pena riconosciuta in modo definitivo, gli ha dato un senso di serena impunità o per tutti questi anni hanno vissuto ogni giorno con l’angoscia di essere prima o poi chiamati a rendere conto dei loro crimini?

Io ero bambino e poi adolescente, ma mi ricordo molto bene quegli anni, l’atmosfera che si respirava, il clima di scontro anche fra ragazzi, la sensazione (l’illusione?) di vivere delle contrapposizioni radicali: rossi e neri, buoni e cattivi, entrambi abilmente manovrati da chi voleva quel clima per portare avanti tutt’altri interessi. Oggi quando mi capita di passare davanti alle lapidi e ai murales dedicate ai ragazzi caduti in quella spirale d’odio, non vedo alcuna differenza fra gli uni e gli altri e invece continuo a chiedermi come possa essere successo, come si possa uccidere qualcuno perché ha un’idea differente dalla nostra.

Comunque si concluderà, sia per gli uni che per gli altri, penso sia giusto mettere una parola definitiva su quelle vicende. Al di là delle responsabilità, al di là della vendetta o del perdono, al di là dei rimorsi e dei rimpianti, vittime e carnefici sono entrambi stati travolti da eventi più grandi di loro e che fortunatamente sono conclusi da tempo. Chiudere quelle storie per fare memoria di quello che successe. Perché al di là di tutto, la cosa più importante è non dimenticare, per il rispetto che si deve a chi ha pagato con la vita e soprattutto perché non succeda mai più.

Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?