La strada di casa

Un giorno, sebbene i nostri ricordi siano una vela più lontana dell’orizzonte e il tuo ricordo sia una nave incagliata nella mia memoria, spunterà l’aurora per gridare con stupore vedendo i fratelli rossi all’orizzonte camminare gioiosi verso l’avvenire.  (Ernesto Guevara)

C’è un qualcosa che ci appartiene dentro le strade che ci portano nei luoghi in cui ci sentiamo a casa. E’ come se la casa allargasse i suoi confini e cominciasse ad esserci molto prima di dov’è realmente. Un po’ come i ricordi. La memoria di un fatto comincia dai profumi, dai sapori, dai suoni che l’accompagnavano allora. Che quando risentiamo ci riportano indietro al momento in cui li abbiamo vissuti per la prima volta.

Le 5 e 30, Angelo sta alzando la serranda del bar, come ogni mattina. Una serranda pesante come i ricordi, che ogni mattina solleva sul cielo di Milano per provare a raccontarsi un futuro diverso. Raccontare il suo passato per spiegare, prima di tutto a se stesso, perché non doveva finire così. Delinea un invece, un come sarebbe dovuto essere. Che purtroppo non si è più realizzato.

Ed è quando non ritroviamo più i sapori, gli odori, i suoni della nostra memoria che cominciamo a dubitare dei fatti. Iniziamo a pensare che forse sono i nostri ricordi che sono fallaci, che in realtà ci stanno ingannando e che le cose non sono andate proprio come sembra a noi. E’ così che cominciamo a non trovare più la strada di casa.

Il primo ricordo arriva con Giovanni, che ogni mattina entra con la copia del Manifesto e comincia ad insultare un po’ tutti quanti. “Angelo, chi ce l’avrebbe detto eh? Fasci che si mascherano da comici! E comunisti che si mascherano da papi! Com’è che dicevamo? Impiccheremo l’ultimo Papa, con le budella dell’ultimo Re! Non si capisce davvero più nulla!”. La verità, caro Giovanni è che abbiamo perso quando abbiamo smesso di fare grandi sogni. Lottavamo per l’uguaglianza e ora ci vorremmo difendere da chi ha la pelle diversa dalla nostra. Lottavamo per la libertà e ora ci siamo abituati ad avere le strade piene di schiave. Volevamo abbattere lo stato ed ora ci accontenteremmo di non pagare le tasse.

Perché un fatto può essere interpretato in tanti modi. Tanti come può essere ricordato. Le spiegazioni però a volte servono poco. Non aiutano. Noi cerchiamo spiegazioni, cerchiamo ragioni, per trovare un senso, ma a volte più ragioni troviamo, più il senso ci sfugge. Rimane la rabbia per le nostre incapacità. Rimangono i rimpianti.

Poi entrano gli studenti e Angelo riesce finalmente a distrarsi, a non pensare. Il susseguirsi meccanico dei fatti impegna la mente e aiuta a concentrarsi sull’oggi. Ma basta una battuta, una voce più forte delle altre, una risata. Quanti anni avrai? Venti? Ventidue? Quanti ne aveva il mio Gabriele. Le barricate chiudono le strade, ma aprono le vie, questo pensavo allora. Mio padre partigiano mi regalò la voglia di libertà e il bisogno di impegnarmi per cambiare questo mondo marcio. Ed io invece cosa ti ho dato? Di tutti i sogni, di tutte le battaglie hai visto purtroppo solamente la parte finale, quando era rimasta solo la rabbia per la sconfitta.

Un errore rimane tale anche se lo vedi da lontano. Anche se questo lontano ha una distanza che non si misura in chilometri, ma in giorni o in anni. Un errore rimane tale anche se riusciamo a trovargli i motivi. Il tempo non accorcia la distanza, cancella i dettagli, con la pretesa di lasciare l’essenziale. Così però dimentica delle parti fondamentali, semplifica quando dovrebbe arricchire e così tradisce quello che fu.

Volevo evitarti i miei sbagli, volevo spianarti la strada perché avevo paura che ti saresti perso. Volevo darti tutto, ma non ti ho dato l’unica cosa che avrei davvero potuto regalarti, quella fiducia lucida ed incosciente che comunque sarebbe andata, noi ce l’avremmo fatta. E forse è per questo hai cercato dentro una siringa quello che non riuscivo a darti io.

Buon giorno signor Angelo! Su con la vita, oggi voglio vederla sorridere, lo vede che bel sole che c’è fuori?” “Ciao principessa. Mi sei mancata in questi giorni. Ma sì, in fondo hai ragione tu, c’è il sole, ed è appena entrato nel mio bar!” Allora forse una speranza rimane. Se c’è ancora qualcuno che non si arrende alla realtà e ha il coraggio, la forza, l’incoscienza di provare a cambiare, allora forse non era tutto un errore.

Forse non troverò più la strada di casa, ma ancora c’è qualcuno che insegue i miei sogni. E anche se io non sono riuscito a viverli, questo non significa che fossero sbagliati.

 

Le spinte costruttive

E va be’, niente rivoluzioni.

Sono troppo pigro per le rivoluzioni.

E poi fra un po’ entra l’ora legale.

Sai che sonno.

Ma almeno si potrebbero seguire le spinte costruttive.

Potrei imparare a suonare uno strumento.

Il violino, anzi la tromba. Ho sempre sognato saper suonare la tromba.

Oppure potrei imparare una lingua straniera.

L’ebraico, ad esempio. Ho sempre sognato saper leggere l’ebraico.

Potrei imparare a nuotare.

Almeno la smetterei di fare il salame in spiaggia, mentre tutti si fanno il bagno ed io al massimo un bidè.

Non ho mai sognato imparare a nuotare. Diciamola tutta, non me ne è mai fregato assolutamente nulla di nuotare.

Ma si sa, le spinte costruttive, quando vengono vengono.

E poi dovrei smettere di fumare. Sì, lo so fumo poco, diciamo che fumo per finta. Però smettere magari farebbe finire questa tossetta catarrosa e un po’ schifosetta che non passa mai.

Avevo anche smesso, una volta.

Anzi più d’una.

Però si potrebbe sempre riprovare.

E poi potrei entrare in politica. Ma sì, proviamo a cambiare questo paese, un impegno serio, quante volte sono che Amedeo me lo chiede? Potrei sì.

Questo però non l’ho mai sognato.

Neanche dopo le cene più impegnative.

Potrei almeno ascoltare Elena e andare a correre la sera, per buttare giù la pancetta.

Chi l’avrebbe mai immaginato che un giorno avrei scritto in una nota “buttare giù la pancetta”.

Mai dire mai nella vita.

E che non ho tempo.

E neanche soldi.

Basterebbe poco.

Un po’ più di soldi, un po’ più di tempo.

Altro che spinte costruttive.

Avrei cambiato il mondo.