Ma siamo proprio sicuri che Maslow avesse ragione? E voi, cari lettori ermeneutici magari vi chiederete: “ma chi cazz’è ‘sto Maslow“? Costui era un esimio psicologo che creò un modello dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide, in base alla quale la soddisfazione di quelli più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di natura superiore.
Alla base della piramide ci sarebbero i bisogni fisiologici (non credo serva elencarli), poi quelli di sicurezza (fisica, familiare, di propietà), quindi quelli di appartenenza (amicizia, amore), quelli di stima (autostima, realizzazione) ed infine quelli di autorealizzazione (moralità, creatività, accettazione). Non entro nel merito, se il tema vi interessa trovate un sacco di roba online, certamente più interessante di quello che potrei raccontarvi io. Mi soffermo sul postulato iniziale e torno alla domanda iniziale.
Siamo proprio sicuri che i bisogni basilari siano i primi a dover essere soddisfatti? Siamo certi, ad esempio, che finché non avremmo soddisfatto il mangiare non ci verrà voglia, che so, di ballare? A pancia piena, certi discorsi vengono meglio, siamo d’accordo. Ma i più grandi poeti hanno scritto le loro opere migliori proprio quando avevano un bisogno insoddisfatto. E non è forse vero che le più belle canzoni siano state scritte da cuori affranti?
E certo, va da sé che in questi tempi di pandemia abbiamo bisogno di sicurezze economiche, di salute, di affetti. Ma proprio oggi, oggi più che mai, abbiamo bisogno soprattutto di un orizzonte diverso. Abbiamo bisogno di non arrenderci alla realtà, abbiamo urgentemente bisogno di ricordare chi siamo, per non dimenticare la nostra vita di prima. Abbiamo bisogno di un sogno ribelle, che non si accontenti dell’oggi, ma riesca ad immaginare i confini di un futuro diverso. Abbiamo bisogno di progetti, abbiamo bisogno di fughe, abbiamo bisogno di nuovi obiettivi e ne abbiamo bisogno più di quanto possiamo ammettere anche a noi stessi.
Abbiamo bisogno di musica nuova, che non deve per forza essere nuova musica. Anche perché poi ci pensa Springsteen, che tira fuori canzoni scritte cinquant’anni fa, che però sono più belle e più attuali di quelle scritte ieri. Seguiamo lui e non sbagliamo. Perché come disse Obama quando nel 2009 gli consegnò il riconoscimento per la diffusione della cultura americana, “I’m the president, but he’s the Boss”.