Arrivano i nostri

A volte basta una virgola per cambiare il senso di una frase. Lo sapeva bene la Sibilla a cui chiedevano il futuro i poveri soldati che dovevano andare in guerra: ibis redibis non morieris in bello. Una virgola prima o dopo il non e il significato della profezia cambia radicalmente. Allo stesso modo, basta un’inezia per stravolgere il significato della realtà. E’ sufficiente, ad esempio, confondere la causa con gli effetti.

Metti ad esempio che qualcuno, ma non uno qualsiasi, un tutore della legge, uno che sta al servizio della giustizia, per difendere i deboli contro i prepotenti, uno su cui riporre la propria fiducia. Uno di quelli che una volta arrivavano alla fine, con squilli di tromba, per liberare il manipolo di eroi asserragliati sul cocuzzolo della montagna, assediati da torme di nemici e tutti gridavano “arrivano i nostri”!

Metti che uno così, ma che dico uno, metti che un gruppo di questi, un gruppo “dei nostri” prenda tuo fratello, la persona a cui vuoi più bene, e lo ammazzi di botte. Metti che poi cerchino in tutti i modi di insabbiare la cosa, di far credere che “Cristo è morto di freddo”. Metti in più che, sempre “i nostri” comincino a infangare la sua memoria, così da far pensare che in fondo sia un po’ colpa sua, anzi, che se lo sia proprio meritato.

Tu continui imperterrita a gridare che non è vero, continui a cercare la verità, non ti arrendi alle bugie e vuoi che sia fatta giustizia. Continui la tua battaglia, non ti arrendi e in cuor tuo, nonostante tutto, continui a sperare che arrivino i nostri a salvarti. Per questo le provi tutte e fra le mille cose che fai per tenere acceso il fuoco, per continuare a far luce sulla questione, pubblichi una foto su FB. E così, come d’incanto, si accende la polemica: la gogna pubblica, l’innocente gettato in pasto alla folla, la violazione della privacy.

Se si scambiano le cause con gli effetti la realtà viene stravolta. Guardi il dito e ti perdi la luna. Non voglio entrare nel merito sull’opportunità o sulla correttezza di questa pubblicazione: effettivamente penso che nei suoi panni non l’avrei fatto. Penso che avrei fatto molto, molto peggio.

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La stella del mattino

Ci si può trovare ad un punto della vita in cui tutto ha un suo ordine. Ad un punto in cui tutto è prestabilito e preordinato, gli eventi hanno un nesso causale e le cose sembrano avere una loro ragione. Non necessariamente ci piace questa situazione, ma ci siamo abituati, ci siamo adagiati, è la nostra quotidianità. Magari non è neanche comoda, però è la nostra. Sì, a volte ci viene mal di stomaco, altre volte ci svegliamo la notte senza motivo. Però è così. Questa è la vita, ci ripetiamo.

Di notte è buio. Ma a volte la notte è così lunga e senza luna che al buio ci siamo abituati, sembra una situazione normale. Eppure non è così. Non è così!

E il fisico, che a volte la sa più lunga della mente, lancia i suoi messaggi. Quel mal di stomaco è come una tirata di giacca. E se non riesci a dormire più è perché qualcosa dentro di te ti chiede di svegliarti. Ma tu continui a non sentire questi messaggi o forse semplicemente non riesci ad interpretarli e così continui a far finta che il buio sia la norma e che la notte non debba finire più.

E proprio nell’ora più buia, quando non c’è più neanche uno spicchio di luna, appare Sirio, la stella del mattino. E tu rimani confuso, ammirato, senza parole. Stenti a capire, a collocare, a dare un posto. Quella luce confonde, non era prevista. Però allo stesso tempo è bella, ti affascina. E soprattutto ti fa rendere conto del buio che avevi intorno a te. Allora ti verrebbe voglia di seguirla, o forse semplicemente di rimanere lì, incantato a guardarla, senza fare altro.

Ma è sbagliato anche quello. Sirio, la stella del mattino, la stella più luminosa, è un apripista. È voce di uno che grida nel deserto, per indicare la vera luce che deve arrivare. Sirio deve tramontare, per far sì che sorga il sole e arrivi il nuovo giorno. Dopo di lui niente sarà più uguale a prima, eppure anche lui deve passare, bisogna andare oltre.

E proprio Sirio, che sorge  quando sta per finire la notte e tramonta prima del sorgere del sole, che non vuole nulla per se stesso, che non è obiettivo, ma strumento, ci indica la strada. La indica a noi, che vorremmo essere la luna e invece corriamo il rischio di non riuscire ad essere nemmeno il dito che la indica.

Il dito e la luna

Sull’immane tragedia di Lampedusa sento parlare di legge Bossi Fini, di corridoi da presidiare, di taglio delle risorse, di dislocamento delle truppe, dell’Europa che non collabora. Sento le solite merde leghiste che straparlano, sento alcuni speculare, altri che piangono, chi si rammarica e chi invece pontifica. Tutto giusto, tutto vero.

Ma così guardiamo solo il dito.

Possiamo esaminarlo per bene, fargli la radiografia, vederlo in tridimensionale, contando le linee che ne creano l’impronta. Possiamo disquisire all’infinito, raccontarci la rava e la fava di questo dito benedetto

Ma, come spesso accade, se ci fermiamo al dito, non guardiamo la luna.

E la luna è l’inferno da cui questi poveretti scappano. Perché prendere moglie e figli e mettersi su una zattera per attraversare il mare significa aver visto l’inferno.

Se non andiamo lì a risolvere i problemi alla radice potremmo fare qualsiasi cosa, corridoi umanitari, centri profughi, leggi speciali per aumentare l’accoglienza, ma temo che sarà tutto inutile, come fermare l’acqua con le mani. Se vogliamo davvero finire questa strage seguiamo la direzione che indica il dito. Andiamo laggiù e affrontiamo l’inferno. Questo deve fare l’Europa, se non vuole avere sulla coscienza un nuovo olocausto.