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Grazie, no grazie

Questo post è una specie di corollario a questo qui, che elencava 40 motivi per essere grati. Sono sempre più convinto che la gratitudine sia l’atteggiamento più giusto verso la vita, gli altri, noi stessi. Ma è anche vero che ci sono cose, situazioni, motivi per cui la gratitudine non è il primo sentimento che emerge nel nostro animo. Anzi. Tutt’altro. E quindi, siccome siamo persone ben disposte verso il prossimo e dedite al diffondere luce e dolcezza, ringraziamo comunque, ma aggiungiamo una postilla, a seconda del livello di insoddisfazione. Al primo livello direi un “no grazie“, al secondo livello mettiamo un “preferisco di no“, al terzo la scala con un “bravi, ma basta” (di botturiana memoria). E andiamo quindi ad elencare.

Le bevande calde. Da tempo immemore, con qualsiasi temperatura esterna, fossero anche dieci sotto zero, non riesco a buttare giù nulla che sia superiore ad una temperatura appena appena più calda di quella che mi circonda. Il brodo, il Thè, la cioccolata, al massimo posso fare un’eccezione per il caffè, che è poco e comunque anche quello lo preferisco al vetro, in modo che disperda subito il calore in eccesso. Qui siamo al livello “no grazie”.

Le bevande ghiacciate. Come sopra, ma ad un livello meno parossistico. Per esempio d’estate un vinello freddo non lo disdegno: ma l’acqua, anche in pieno agosto e con 40 gradi all’ombra, per me deve sempre essere a temperatura ambiente. Tra l’altro in questi casi, più che il gusto è l’effetto simultaneo che le cose ghiacciate hanno sul mio colon che non me le fa preferire. Qui direi, “preferisco di no”.

La mozzarella o il formaggio fuso sulla pizza. Da anni ormai sono diventato un esperto di tutti i tipi di pizza che non contemplano fra gli ingredienti il formaggio fuso, che di per sé mi piacerebbe pure, ma mi stomaca abbastanza presto. Anche qui “preferisco di no”.

I bis ai concerti. Se uno va ad un concerto, ovviamente, è perché gli piace il cantante, il musicista o comunque il performer che sta eseguendo la manifestazione. Però a volte arriva un certo punto che sei stanco, rintontito dal frastuono, oppure devi andare in bagno, hai le gambe anchilosate, la mattina dopo devi alzarti presto e quindi quando arriva l’ultimo pezzo, dici “evvai”, anche questa è fin…no, c’è il bis. A volte anche due. A volte persino tre. Ecco allora che scatta il “bravi, ma basta”.

I bis a tavola. Un po’ la stessa situazione può capitarti quando sei ospite a pranzo o a cena con qualcuno. Qualcuno che ci tiene a farti apprezzare la sua cucina. Qualcuno che sembra avere a cuore il tuo sostentamento, neanche fossi un orfano proveniente dall’Africa sub equatoriale e che quindi vorrebbe rimpinzarti come il maiale prima del Natale. Tutto buono, per carità, ma anche qui “bravi, ma basta”.

Le telefonate prolungate. Fa piacere parlare al telefono con un amico. Magari con qualcuno che non senti da tempo. Se però ti accorgi che l’interlocutore non ha nient’altro da fare nelle successive otto ore e comincia a raccontarti fatti e situazioni con dovizia di particolari, il piacere può via via scomparire. “Preferisco di no”.

L’ennesima stagione delle serie TV. Fra le varie cose non del tutto negative della pandemia, almeno nel mio caso, ci fu la scoperta di Netflix e delle serie TV. In realtà qualcuno la seguivo pure prima, Grey’s Anatomy, a suo tempo Lost, ma a casa nostra era un fenomeno sporadico. Ora è diventato decisamente prevalente e se escludiamo le partite di calcio, praticamente non vediamo altro, anche grazie al moltiplicarsi delle piattaforme che offrono serie TV come se non ci fosse una domani. E la maggior parte di queste ha diverse stagioni. In alcuni casi troppe stagioni secondo me, decisamente troppe. Anche qui, “bravi ma basta”!

Le giornate di pioggia. Sì, lo so, anche la pioggia ha la sua grande utilità, soprattutto in certi periodi dell’anno e in certe zone d’Italia (ma non solo). Ma a me comunque mal dispone. E non solo per il traffico che impazzisce o perché devo asciugare il cane dopo la passeggiata: una volta ogni tanto va bene, magari di notte, ma già bastano 3 giorni di seguito per farmi piombare nell’umor cupo e in un’insofferenza generale da cui mi salva solo il ricomparire del sole. Insomma, “preferisco di no”.

Le trasmissioni che indugiano sulla cronaca. E’ vero, dobbiamo essere informati, la circolazione delle notizie è importante e ci rende consapevoli della realtà che ci circonda. Ma è proprio necessario soffermarsi così tanto sugli orrori del mondo? E’ giusto/lecito dare spazio alla cattiveria gratuita degli uomini? Non si scatena un pericoloso effetto di imitazione? Non dico che bisogna tornare alla censura, ma un “preferisco di no” qua secondo me ci sta tutto.

Chiudo quest’elenco parziale e rivedibile (hai voglia quante cose mi suscitano questi sentimenti!) con i consigli non richiesti. Le persone che ci vogliono bene, che ci sono vicine (ma non solo loro) si sentono sempre in dovere di dispensare consigli: dal banco dove fanno la spesa, al gastroenterologo che ha indagato i loro orifizi, dal posto dove si sono trovati tanto bene in vacanza, al film imperdibile che dovremo andare a vedere. E fin qui potrebbe anche andare bene. I consigli sono spesso utili, anche quelli non richiesti. Quello che è molto meno utile è l’insistenza o la verifica successiva: ma l’hai più chiamato? Ci sei andato? Ma l’hai visto? No! Non l’ho chiamato, non ci sono andato e non l’ho neanche visto. Grazie, no grazie!

E voi, viaggiatori ermeneutici, quand’è che pensate che la sostenibilità di certe situazioni sia superata? Quando vi esce naturale un “grazie, no grazie”?

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I 10 modi di fare gli auguri

Tempo di Natale, prossimi alla fine dell’anno, tempo di auguri. Un tempo c’erano i bigliettini e le telefonate, poi c’è stato il passaggio con le email, ora vanno alla grande i video su Whatsapp. Cambiano i mezzi, restano però alcune tipologie ben definite. E così ritiro su questo post con una bella classifica dei 10 modi di fare gli auguri. Ognuno si scelga il suo!

Cordiali auguri. Che si contrappongo a quelli Distinti. Un po’ la differenza fra un bacio e una stretta di mano. Ma si differenziano anche da quelli scortesi: tipo quando fai gli auguri, ma in realtà stai pensando “mavattenafanc….”. Melensi

Auguri sinceri. Ah perché vorreste farmi credere che in realtà ci stanno pure quelli falsi? Ma falsi tipo le monete o taroccati tipo le borse che si comprano sulla spiaggi? Diffidate gente, diffidate! Farisaici

Tante care cose. Questo è come una canzoncina, un augurio che va detto tutto di filato: tantecarecose, come uno scioglilingua, come tracannare un bibita dissetante. Resta da capire quali siano ‘ste cose che si augurano. Però sappiamo che sono tante. E non sono a buon mercato. Cantilenati

Anche a te. Tu sei lì che ti scervelli tirando fuori metafore ardite, ricorrendo ai versi dei poeti, ce la metti tutta per raggiungere vette di originalità, tenerezza, amore e quell’altro che fa? Il muro. Come quando da ragazzini giocavamo a in cortile con una palla e una racchetta. Tennistici

Anche a te e famiglia. Una variante tipicamente italica. E chi è che non tiene famiglia! Però mi viene un dubbio: ma quale famiglia? E soprattutto, fino a che grado di parentela vanno estesi? Anche alla zia di Bergamo e la cognata di Verona? Consanguinei

Auguroni. Me li immagino belli grassi, con la pappagorgia e una fetta di pandoro trasudante burro e zucchero a velo. Ma sì, fai vedere che esageriamo, mica siamo qui a lesinare auguri! Adiposi

Augurissimi. Questa è una variante del precedente, ma con una forma più snella, più allungata. Il modello spider, per intenderci. Superlativi

Sentiti auguri. Quindi non visti. E nemmeno assaggiati, o odorati: uditivi! Infatti vengono bene se accompagnati da lukulele e canzoncine natalizie. Sensoriali

Auguri di cuore. certo, auguri di fegato non li ho mai sentiti. Oppure che so, auguri di reni…potrebbero essere varianti originali. Corporali

Auguri affettuosi. Sono quelli che da piccolo aborrivo: quelli con il bacio sulla guancia a labbra bagnate, che mi faceva fuggire da nonne e zie neanche avessi avuto paura di prendere l’erpes. Sdolcinati

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40 cose per cui essere grati

Prendo spunto e rilancio la suggestione del mio amico Pank, che riprendendo una vecchia rubrica dell’indimenticabile Cuore, ci invita ad elencare le 40 cose per cui essere grati alla vita. Voliamo basso, certo, anche perché la nostra vita si svolge con i piedi ben saldi alla terra e si sa, la terra è bassa, come ricordavano giustamente i contadini. Piedi a terra, ma sguardo al cielo: occhi all’orizzonte, orecchie aperte alle melodie che girano nell’aria, narici aperte ai profumi portati dal vento.

D’altra parte più vado avanti con gli anni, più mi sento di essere grato: per quello che è stato perché niente è andato perduto, per quello che sarà perché non ne ho la più pallida idea, per quello che è perché è solo e soltanto quello che conta davvero.

Non c’è un ordine ben preciso, non è un elenco esaustivo, né definitivo, magari domani toglierei alcune cose e ne metterei altre. Non ci sono persone, perché è un elenco di cose. Ma bando alle chiacchiere e cominciamo.

  1. I film di Stanlio & Ollio
  2. I dischi di Bruce Springsteen
  3. I libri di Wodehouse
  4. La Lazio
  5. I telefilm di Happy Days
  6. Le partite di calcetto del giovedì sera
  7. Il pranzo della domenica
  8. I fumetti di Tex
  9. Grease
  10. Discovery degli Elo
  11. Il profumo del rincospermo quando arriva la primavera
  12. Burattino senza fili di Bennato
  13. I romanzi della serie Hap & Leonard di Lansdale
  14. Gerusalemme
  15. Le passeggiate con il cane
  16. La coda alla vaccinara
  17. Il thè Earl Grey
  18. Selling England By The Pound dei Genesis
  19. La cinta senese
  20. Le passeggiate in montagna
  21. La settimana Enigmistica
  22. Le giornate di fine estate al mare
  23. Harry ti presento Sally
  24. Organizzare un viaggio
  25. I bignè alla crema
  26. Giocare a Tresette
  27. Breakfast in America dei Supertramp
  28. Le passeggiate in bicicletta
  29. Il cielo stellato a San Lorenzo
  30. Il ping pong
  31. La mattina di Natale
  32. Il Signore degli Anelli
  33. The Dark side of the Moon dei Pink Floyd
  34. I libri di Heidegger
  35. Passeggiare sulla spiaggia
  36. Il vino novello
  37. Harvest di Neil Young
  38. L’Attimo fuggente
  39. Il primo maggio
  40. Le giornate che si allungano all’arrivo della primavera

Ecco qua. 40 sono poche, ce ne sarebbero altre, ma tanto posso sempre togliere e aggiungere. Adesso tocca a voi, viaggiatori ermeneutici, quali sono le vostre 40 cose?

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10 buoni propositi

Era da un po’ di tempo che non vi intrattenevo con un post di elenchi di cose. E quale miglior periodo dell’inizio di un nuovo anno, per mettere giù qualche buon proposito da perseguire nei prossimi 12 mesi?

Il primo proposito che voglio perseguire nei prossimi mesi riguarda il coltivare le abitudini. Coltivare vuol dire reimparare ad apprezzarle, non lasciare che i giorni, le settimane, i mesi si costruiscano in automatico. Non voglio nuove cose, vorrei godermi appieno quelle che ho.

Ovviamente, insieme al proposito precedente, vorrei non diventare schiavo delle abitudini. Anche le più belle, anche quelle che mi calzano meglio. C’è comunque sempre posto per qualcosa di diverso. E non va trascurato.

Nel contempo vorrei ricordarmi più spesso di apprezzare ciò che si ha, senza dare per scontato che ci sarà anche domani. Perchè purtroppo non sarà così per sempre.

Quindi vorrei seguire solo ciò che mi fa stare bene. Non è un proposito scontato: ci sono tante cose che sappiamo non ci fanno bene. Tante persone che dobbiamo frequentare, impegni da prendere, ma anche vizi che non riusciamo a mettere da parte. Evitare sarà un impegno da non trascurare.

Sopportare una piccola fatica, se ci garantisce un buon risultato futuro. Quanto piccola? Lì è tutta la questione! Non ci sembrerà mai troppo piccola, ma solo una volta superata potremo giudicarla in modo serio.

Oziare, perdere tempo, procrastinare. So che questo è il proposito più complicato per me. Ma ce la posso fare.

Un altro buon proposito è quello di vincere la voglia di stabilità e impegnarsi, ogni tanto, a cambiare aria. Aprire le finestre, fisiche e mentali: una boccata di aria nuova è vitale, direi quasi indispensabile.

Evadere ogni tanto. Chiudere tutto e fuggire, vicino o lontano poco importa.

Imparare da chi ce l’ha fatta. Imparare dalla mia amica R. Perchè si può fare! Se ce la mettiamo tutta, se ci impegnamo veramente, si può fare. SI PUÒ FARE. Anche una maratona, anche a New York.

Quindi bisogna crederci fino in fondo. Fino a che l’arbitro non fischia, la partita non è finita. E bisogna tirare fuori tutte le risorse, anche quelle più inaspettate, quelle che non sapevi nemmeno di avere. Perchè anche il portiere può fare goal, anche oltre il tempo massimo, se ci credi fino in fondo.

Cosa si può dire nelle poesie di Capodanno,
che non sia già stato detto tutto l’anno?

Gli anni nuovi arrivano, quelli vecchi serran le frontiere e noi sappiamo di sognare o sogniamo di sapere.

Ci alziamo con la luce del mattino sorridenti
e ci corichiamo con le tenebre pieni di lamenti.

Ci avvinghiamo il mondo finché non ne siam feriti
e allora lo malediciamo sentendoci traditi

Viviamo, amiamo, ci fidanziamo, ci sposiamo,
festeggiamo i matrimoni e i morti seppelliamo.

Ridiamo, gemiamo, pieni di speranza o di amarezza e di ogni anno questo fardello è la greve certezza.

(La traduzione libera è della mia amica Luisa Zambrotta, che ringrazio)

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Paese che vai, formaggi che trovi

La carbonara è americana e il parmigiano reggiano è nato in Wisconsin“. So cosa state pensando: no, non sono ubriaco e non è nemmeno il titolo di un articolo di Lercio, bensì di Repubblica di domenica scorsa. Non so quale guru della cucina, evidentemente in preda a chissà quale fungo allucinogeno, abbia formulato questa improponibile teoria. Se vi viene la curiosità, lo trovate qui

Che poi, tralasciando per un attimo i deliri sulla pastasciutta (noto piatto tipicamente americano), come si fa a mettere in dubbio la provenienza di una cosa che ha nel suo stesso nome il riferimento geografico di dove viene prodotto? E allora mi sono detto, è mai possibile che ora anche a livello di minchiate dobbiamo prendere lezione dagli americani? Giammai! Risolleviamo l’onore patrio con 10 improbabili ipotesi sulla vera origine delle cose.

L’insalata russa è ucraina. Questa forse la vera causa del conflitto?

Il pesto alla genovese è sampdoriano. Questo è un colpo basso lo so, ma qualcuno doveva pur dire la verità.

La torre di Pisa, in realtà è di Livorno. Tant’è che pende da quella parte

Per non parlare della Torre Eiffel. Guardatela bene, non è una torre, tutt’al più potrebbe essere un pedone. Resta da capire quanto dovrebbe essere grande la scacchiera, ma si sa, i cugini d’oltralpe sono sempre vittime della loro stessa grandeur.

La Statua della Libertà, in realtà non inneggia la libertà, ma la dittatura, infatti come ce l’ha il braccio? Esatto! Insomma, non è americana, bensì crucca!

I Cavalieri di Malta non erano di Malta e nemmeno cavalieri, perché in realtà andavano a piedi. Erano operai specializzati col bitume e la malta, da qui forse l’errata connotazione geografica.

Le tigri della Malesia erano un gruppo di motociclisti di Zagarolo, neanche a dirlo anche la perla di Labuan era in realtà di Capracotta.

Il cannolo siciliano deriva da un’antica ricetta romana, successivamente elaborata dagli arabi e poi sviluppata dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta. Il fatto che delle suore di clausura avrebbero inventato un dolce con quella forma lascia qualche dubbio (o forse no?)

E sempre a proposito di posti, Massa Lombarda è in Emilia Romagna così come Milano Marittima, San Giuliano di Puglia è in Molise e San Mango Piemonte è in Campania, così come Sant’Angelo dei Lombardi. Alla volte quindi è vero che i nomi ingannano.

Sono sicuro che se andassimo a scavare, ci sarebbe da ridire anche sulla reale provenienza dei wurstel, che in realtà ho letto essere cancerogeni. Ma qui non ho conferme, anche perché, ve lo posso assicurare, non li ho mai fumati.

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Le dieci cose (minchione) che cambierei delle Olimpiadi

Ancora euforico per i successi dei nostri atleti (neanche nel più pindarico dei voli della fantasia avrei mai creduto di vedere un italiano trionfare sui 100 metri!), volevo rendere omaggio allo spirito olimpico con un bel post sui giochi a cinque cerchi. Poi però mi sono ricordato che già nella precedente edizione mi ero cimentato e così ho pensato di riesumare questo vecchio post, anche perché su per giù, cinque anni dopo, non è che le cose siano tanto diverse. Magari tra tre anni a Parigi mi verrà una nuova ispirazione, ma per il momento, questa lista di cose penso che sia ancora più che valida.

Le Olimpiadi mi piacciono molto. Ma a chi non piacciono? Capitano sempre d’estate, mentre si è in vacanza e quindi già sei ben predisposto verso il mondo. Tirano fuori questi sport sconosciuti, di cui non frega nulla a nessuno se non, appunto, ogni quattro anni, quando tutti si riscoprono esperti di fioretto o di tiro al piattello. E proprio il gusto che si prova quando un italiano trionfa in uno di queste discipline di nicchia e l’impegno che vedi ci mettono, anche quando non capisci il come o il perché, ti fa capire quanto siano belle le Olimpiadi. Lo sport fine a se stesso, fatto solo per il gusto di gareggiare.

E però, anche loro hanno i loro difetti, le cose migliorabili. Da qui la mia classifica minchiona delle 10 cose che cambierei nelle Olimpiadi.

La prima sono le gare in piena notte. Avranno anche il loro fascino, faranno tanto atmosfera, ma io c’ho sonno. Non mi posso svegliare alle 3 per vedere la Pellegrini! Federica, capiscimi: non so cosa fai quando non nuoti e neanche mi interessa poi tanto, ma quando nuoti evita di farlo in piena notte, su bella de casa!

Poi vieterei le interviste post gara. Già questi poveri atleti non è che siano proprio dei fini dicitori, ma se poi vai ad intervistarli in evidente debito di ossigeno, con il sangue concentrato sui muscoli invece che sulla zucca, cosa mai pensi che ti diranno? Ehh, ciao mamma, sono arrivato uno! Poveretti, dai evitiamo.

In generale eliminerei i cinesi. Li farei partecipare perché fanno numero, però poi li squalificherei per non farli vincere. E dai, sono troppi, grazie che vincono sempre! E poi si somigliano. Chi ci dice che sono davvero loro? E se fosse sempre lo stesso che fa diversi sport, chi se ne accorgerebbe? Non c’avevate mai pensato eh!

Invece gli americani li separerei. Che fate, siete 50 stati solo quando vi conviene? Troppo facile! Provate a gareggiare come Texani, Californiani, Connecticutiani e via dicendo e poi vediamo se vincete tutte quelle medaglie!

Venendo agli sport eliminerei il rugby femminile. Belle de’ papà, ma quando eravate piccole…il salto con la corda? La campana? Al limite, ma proprio al limite, palla prigioniera no? Capisco le cicc… le diversamente secche che tirano con l’arco. Passi per le chiatt… per le diversamente smilze che fanno lancio del peso. Ma voi, perché il rugby? Non so se ve l’hai mai confessato qualcuno (magari no) ma non è che vi renda proprio attraenti. Oh, poi fate un po’ come volete.

D’altra parte anche il nuoto sincronizzato maschile. Eh no! Va be’ la parità, va be’ il fascino e l’eleganza, ma tutto ha un limite. Il sincronetto no dai! E su, va a tirare calci a un pallone, sii bravo.

In generale invece, maschile o femminile che sia, lo sport che proprio eliminerei del tutto è il sollevamento pesi. Lo trovo veramente stupido. Ma che senso ha? E poi hai visto che faccia che fanno mentre? E quei strilli che fanno? E mi dicono che tirano fuori anche delle scoreggione fragorose. Te credo! Lasciatevelo dire, siete veramente  bruttissimi. E poi, secondo me, fa pure male. Via!

Per altri sport farei piccole variazioni. Ad esempio: è proprio necessario mettere quelle discese in bicicletta? Non vi sembra un po’ fuori luogo? Ma allora, se proprio volete, dategli due racchette, mettete le bandierine e fategli fare lo slalom.

Qualcuno, magari mentre fa la telecronaca, potrebbe spiegare quando è fallo a pallanuoto e quando no? Se ne danno di santa ragione, botte da orbi e nessuno dice niente, poi magari uno tocca un altro, espulsione. Non è chiaro! Fateci capire anche a noi.

E infine una figura ambivalente. Da una parte la abolirei, d’altra forse invece va preservata. Perché ognuno di noi nella vita si sarà sentito a volte inutile, di peso, fastidioso, oggetto di rancore e di astio. Saputello, sputasentenze e forse troppo chiacchierone, poco partecipe delle altrui traversie. In quei momenti, pensiamo a quello piccoletto della canoa se ne sta bello tranquillo a strillare agli altri omaccioni nerboruti, “oh oh, oh oh, dai su forza”. Ecco, pensiamo a lui.

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Donne è arrivato l’arrotino. Ovvero i dieci pregiudizi che avete su di noi

Dopo 5 anni anni, nel pieno di una pandemia mondiale, poche cose sono rimaste inalterate. A beneficio dei nuovi viaggiatori, ma soprattutto delle nuove viaggiatrici ermeneutiche, ripropongo questi dieci luoghi comuni, queste dieci grandi bugie che raccontate su di noi, poveri maschietti indifesi!

L’omo ha da puzzà. Ma perché? Ma chi l’ha detto? Io odio chi puzza, fossi anche io stesso: quando puzzo mi odio! E poi ho conosciute un sacco di femminucce che in realtà non è che proprio profumassero di viola!

Dimenticate le cose, gli appuntamenti, gli anniversari. E’ vero, o meglio, è parzialmente vero. A volte facciamo finta, così da potervi sorprendere quando meno ve l’aspettate. E poi, insomma, su…un po’ di comprensione, in fondo abbiamo ben altro per la testa. Ad esempio, abbiamo svariati mondi da salvare.

Non trovate le cose. Ecco, su questo voglio fare una netta smentita, perché ci tengo personalmente a precisare che non è assolutamente vero. O meglio, non è colpa nostra. Come dicevo alla già citata Rosa, se non ci fossero gli elfi della casa che di notte si divertono a spostare le cose di qua e di là, noi le troveremmo pure. Non siamo noi che non le troviamo. Sono loro che cambiano di posto senza avvisarci.

Avete paura delle mestruazioni. E qui cito quello che dice Woddy Allen riguardo alla morte: non è che ne ho paura, solo non vorrei essere lì quando arriva.

E collegato a questo, non riuscite a cogliere il nostro stato d’animo. Ma in realtà noi riusciamo a coglierlo benissimo. Se stesse fermo un momento. Il problema è che appena noi pensiamo di aver capito la situazione o il momento, voi avete già cambiato idea. La colpa è vostra, siete troppo volubili.

Con 37 e 1 di febbre vorreste scrivere testamento. Non è proprio così. Ci accontenteremmo di un po’ di comprensione. Non so, una pezza umida sulla fronte e una bella tazza di brodo caldo farebbero piacere.

Vi credete più giovani di quel che siete. Solo perché continuiamo a giocare a calcio o perché ci teniamo a mantenere certe abitudini con gli amici, non è che pensiamo di avere ancora vent’anni. Dovreste apprezzare la nostra coerenza. Trent’anni fa facevamo delle cose, ora continiuamo a farle. O almeno ci proviamo.

Collegato a questo dovreste una volta per tutte smetterla di pensare che i nostri amici siano insopportabili. Non è così! E non è vero che riescono a tirar fuori i nostri peggiori istinti. Il problema è che voi non potete capire le cose che ci uniscono (a dir la verità a volte anche noi stentiamo un po’ a ricordarcele. Ma qualcosa doveva esserci. Ora se ci mettiamo un attimo a pensare, vedrete che ce lo ricordiamo)

Andate dietro a quelle più giovani. Ahhh e qui vi volevo! E allora quando eravamo in quarto ginnasio e noi eravamo lì con i nostri brufoli che vi invitavamo il sabato pomeriggio e voi uscivate con quelli del terzo classico? Eh allora vi andava bene che gli uomini preferivano quelle più piccole! Ora che volete?

Ma poi soprattutto, non è vero che non vi ascoltiamo quando ci parlate. Come fate a pensare che mentre dite qualcosa noi in realtà chissà cosa stiamo pensando? Come fate solo ad immaginarlo? Ma soprattutto perché? Cosa abbiamo mai fatto per farvi pensare una cosa così assurda?

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7 Consigli (più 1) propedeutici a diffondere luce e dolcezza

Dopo il post di un paio di settimane fa (quello sulla Missione che ognuno di noi ha su questa terra), ho avuto apprezzamenti da parte di diversi lettori ermeneutici sul diffondere luce e dolcezza (lo spread sweetness and light) che avevo detto essere la mia personale missione. Qualcun’altro, a onor del vero, ha alzato un sopracciglio, magari con una vena di scetticismo. E poi ci sono state e Tiffany, due lettrici ermeneutiche fra le più assidue, che addirittura chiedevano una vademecum per metterlo in pratica. E come potrei non esaudire la richiesta di due giovin donzelle come loro?

Ma più che un vademecum con una lista di regole da seguire, penso sia più utile una serie di consigli per stabilire una disposizione d’animo preliminare, che è una condizione di possibilità indispensabile per partire. Ed ecco quindi un bell’elenco (vi mancava un post di elenchi, dite la verità!) di consigli propedeutici a diffondere luce e dolcezza.

Prima di tutto, per diffondere luce e dolcezza, nel dubbio, è preferibile avere il rimorso per una cosa fatta che il rimpianto per una cosa non fatta. Insomma, bisogna avere il coraggio di intervenire, di buttarsi. Si rischia di essere un po’ invadenti, di farsi gli affari degli altri, di dare consigli non richiesti. Ma è un rischio inevitabile, che va corso.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi imparare a perdere tempo. Bisogna avere obiettivi certo, ma senza esserne schiavi, bisogna girovagare ed avere il piacere di fermarsi a parlare, ma soprattutto ad ascoltare.

Collegato al precedente, come corollario, per diffondere luce e dolcezza bisogna essere curiosi. Bisogna avere proprio la voglia di sapere, di conoscere i fatti, le circostanze, le motivazioni. La curiosità è una spinta inesauribile, un po’ come la rubrica “lo sapevi che” della Settimana Enigmistica, non è specificatamente rivolta ad un oggetto, ad una persona o ad un argomento. E’ esistenziale!

Per diffondere luce e dolcezza poi non bisogna essere gelosi delle cose, delle persone, ma neanche delle informazioni. Se conosci un buon posto dove andare a mangiare, un luogo che vale la pena visitare, un osteopata che fa massaggi miracolosi, un bar che prepara cocktail favolosi, devi sentire la necessità di pubblicizzarli, devi diventare un megafono, farti passaparola.

Quindi, per diffondere luce e dolcezza bisogna farsi coinvolgere. Bisogna assumere su di sé i problemi, le preoccupazioni, le aspirazioni altrui e farli propri. Trovare lavoro a qualcuno, far incontrare due cuori solitari, essere il punto di incontro fra la domanda e l’offerta, creare collegamenti o almeno fare di tutto per creare le condizioni di possibilità affinché i collegamenti si creino.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna imparare a praticare atti di gentilezza a caso. All’inizio non viene mica automatico: far passare avanti qualcuno che ha un carrello più vuoto del tuo, fermarsi a dare la precedenza in macchina a qualcuno che non ce l’ha, salutare gli sconosciuti. Sapete che a volte basta un sorriso?

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi cercare quanto più possibile di fuggire i cretini, i rancorosi e le persone moleste. Nel mio caso (ma non credo solo nel mio) quelli che puzzano. Insomma, tutti quelli che scatenano in voi gli istinti omicidi: forse sarà pleonastico specificarlo, ma l’omicidio mal si sposa con luce e dolcezza. Quindi evitate, fuggite. C’è una grande saggezza e un’altrettanto grande dignità nella fuga.

E infine un ultimo consiglio propedeutico perché in sé per sé non diffonde nulla, ma diventa indispensabile, perché altrimenti, se non lo si segue, si rischia di rovinare qualsiasi altra disposizione d’animo, mandando a monte tutto quello che abbiamo elencato fin ora. Per diffondere luce e dolcezza non ti devi arrabbiare con gli amici. Ma non ti devi arrabbiare neanche con i nemici. Non ti devi arrabbiare con nessuno, così fai prima e non hai dubbi. Come si fa a non arrabbiarsi? Bisogna avere una memoria corta e imparare a dare il giusto peso alle cose. E poi un goccio di quello buono aiuta. Anzi, datemi retta, non lesinate, anche più di un goccio.

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10 cose che ho capito di me

Se lo vuoi rimani
Non c’è molto da dire che non sia già detto
Si dice che domani
Sia il solo posto adatto per un bel ricordo

Sembra ieri che in qualsiasi riunione andassi ero sempre il più giovane. Quando è cominciato a non essere più così? Non me lo ricordo e questo già denota qualcosa. In ogni caso penso che non riuscirò mai ad abituarmi fino in fondo a questo dato di fatto.

Sono un tipo riconoscente. Mi piace riconoscere le gentilezze ricevute. E mi piace tanto anche essere riconosciuto. L’altro giorno ad esempio mi ha riconosciuto una bella fanciulla che non mi vedeva da circa una quarantina d’anni. Sono soddisfazioni. Tralasciamo il fatto che io non sia stato altrettanto pronto, anche questo denota qualcosa.

Mi piace se qualcuno mi riconosce per l’aspetto fisico, ma sopratutto mi piacerebbe essere riconosciuto nei modi di fare, di pensare, nei comportamenti e nelle scelte. E’ vero che la coerenza non è di questo mondo, ma una continuità di fondo, seppur fra una caduta e l’altra, sarebbe quanto mai auspicabile.

Prima ero molto più paziente. E anche più tollerante. Ora sono spesso in modalità “mi state tutti sul cazzo“, anche se debbo dire che almeno non lo da a vedere (non troppo, se non altro). In ogni caso, chi l’ha detto che invecchiando si migliora?

Tu sei uno su cui si può fare affidamento“, resta forse il complimento più bello che abbia mai ricevuto.

In questi quasi trent’anni di lavoro ho avuto capi di qualsiasi tipo e sono andato d’accordo con tutti: donne cazzute, giovani rampanti, attempati paraculi, gente sull’orlo di una crisi di nervi. Forse semplicemente perché l’ansia da competizione non so propria cosa sia.

Non mi appartiene neanche l’ansia da prestazione. So quello che posso dare e quello che no. So che volendo, se non fossi pigro, potrei arrivare persino ad uccidere il Ciciarampa. Ma poi penso che ho imparato a nuotare a cinquant’anni, che altro devo dimostrare?

Figuriamoci quindi se posso avere ansie da felicità. Che sono sempre più convinto, si raggiunge solamente quando si smette di cercarla.

Ci sono tante cose sopravvalutate. I soldi, il successo, il sesso la politica, il novanta percento delle paure. E pure la felicità. Prenderne coscienza seriamente e comportarsi di conseguenza varrebbe un 6 al superenalotto.

Come dicevo nell’ultimo post, restare umili è un impegno quotidiano. Ma d’altra parte le sconfitte della Lazio continuano a prostrami e deprimermi, rovinandomi le giornate più dei cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento. Non so cosa voglia dire, ma anche questo penso denoti qualcosa.

 

 

 

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Miracolo in Riviera

Solo chi non conosce i romagnoli può stupirsi di quello che sono riusciti a fare.” Così mi diceva un collega che ha lavorato a lungo da quelle parti, sul fatto che in meno di ventiquattro ore la spiaggia di Milano Marittima, devastata da un uragano fuori dal normale, fosse di nuovo in perfetta efficienza. Non posso dire di conoscerli così bene da poter esprimere un giudizio: i romagnoli che ho conosciuto, provando a voler fare una sintesi, mi sono effettivamente sembrati gente determinata, come si dice “gran lavoratori”. Tra l’altro è sempre troppo banale e semplicistico generalizzare in questo modo: probabilmente ci saranno scansafatiche e perdigiorno anche lì, come ci saranno brave persone o malandrini, come ce ne sono ovunque.

Personalmente sono stato a Rimini diverse volte, ma sempre fuori dalla stagione estiva, in occasioni lavorative, e quello che è evidente fin da subito è la predisposizione al contatto umano, la disponibilità verso l’altro, tipica di chi è abituato ad avere a che fare con persone che vengono da fuori. Lavoratori affabili e cortesi, sempre pronti a mettersi a disposizione degli ospiti, fissi o di passaggio che siano.

Tornando alla questione quindi e dando per scontato che senza dubbio il proliferare di attività di commercio e di turismo abbia sviluppato un’intraprendenza e una voglia di lavorare più spiccata rispetto ad altri luoghi, il vero miracolo accaduto in riviera secondo me è un altro. Il vero miracolo è che nessuno se l’è presa col destino cinico e baro per piangersi addosso, nessuno ha chiesto soldi a Romaladrona e soprattutto, il vero miracolo sono i bagnini di Cattolica, di Cervia, di Rimini, che sono andati lì a dare una mano, senza fare troppi proclami.

Insomma il vero miracolo dovrebbe essere la normalità delle cose. Forse questo è il vero segreto dei romagnoli. Lavoratori col sorriso e pronti alla battuta. D’altra parte, se ci pensiamo già mettere insieme nello stesso nome Milano e Marittima…ma dai! Non vi sembra una battuta straordinaria?