Il gran capo Esticazzi

“Non sento niente no, adesso niente no, nessun dolore, non c’è tensione, non c’è emozione, nessun dolore”

In fondo sarebbe facile. Basterebbe non prendersela, non arrabbiarsi mai. Basterebbe abbandonarsi placidi e serafici al culto assoluto ed incondizionato del gran capo Esticazzi.

Basterebbe non aspettarsi nulla. Prendere dagli altri quello che arriva, perché tutto quello che arriva è un di più. E bastare a se stessi. L’Autarchia fu il principio guida dei nostri nonni. Grano e moschetto…e noi abbiamo anche qualcosa in più. Abbiamo youporn! What else? Autarchia, la nuova vecchia frontiera. A quel punto smetteremmo di soffrire e gli altri non ci deluderebbero più. Non ci deluderebbero semplicemente perché non sarebbero più essenziali alla nostra vita. E alla nostra felicità.

Atarassia, atarassia, tutti i mali si porta via! Tutto ci rimbalza, niente ci scalfisce, niente più gastriti, niente più disturbi. Rivestiti di lanzoprazolo come una muta da sub potremmo così avventurarci senza paura nei grandi marosi dei sentimenti interpersonali senza indugio e senza timore. Esticazzi, mostraci la via!

Già qui, vi avevo intrattenuti sull’argomento https://giacani.wordpress.com/2013/09/18/anestesia/.  Lì dicevo (e lo penso ancora) che in fondo il dolore serve a sapere quanto teniamo agli altri. Ma una volta saputo potremmo capire appunto che non ne vale la pena. Potremmo cominciare a discernere fra chi ne vale e chi no.

Ma purtroppo non è così. Esticazzi pretende una devozione assoluta, non accetta discernimenti. Se ti importa accetta di soffrire. Altrimenti, Esticazzi. In fondo, la scelta spetta a noi.

La collina dei ciliegi

Ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti?

Non c’è niente da fare. Come cantava il poeta di Poggio Bustone, quando si tratta di costruirci degli alibi, diventiamo davvero imbattibili. Non è così semplice, perché non è così univoco, spiegare questo processo. Ci sono situazioni che non vogliamo vivere, circostanze che non vogliamo affrontare, persone che non vogliamo incontrare. E abbiamo le nostre validissime ragioni per non voler fare tutte queste cose. Talmente valide che però, chissà perché, le nascondiamo. Agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi. Forse perché non sono poi così convincenti? Forse perché spesso dietro queste ragioni si nascondono le nostre paure?

Come già scrivevo qui https://giacani.wordpress.com/2013/09/19/con-i-se-e-con-i-ma/ Fatto sta che, nel momento in cui le semplici spiegazioni logiche del perché non ci va di fare questo o quello, non sono poi così chiare, nascono gli alibi. Come maschere delle ragioni vere, come loro rafforzativi. Gli alibi poi hanno la capacità di riprodursi meglio dei criceti! Uno tira l’altro, uno appresso all’altro. Nascono, crescono, si rafforzano, fino a farci dimenticare le ragioni autentiche.

Per questo alla fine non è nemmeno la semplice antitesi bugia verità quella che riesce a farci orientare. E confondo i miei alibi e le tue ragioni, cantava un altro poeta dei giorni nostri. Ed è così! E’ esattamente così. Magari tu, da fuori, la cogli chiaramente la differenza, perché ovviamente siamo bravissimi a riconoscere le pagliuzze altrui. Ma invece quando ci sei dentro, quando sei tu il soggetto della storia, allora improvvisamente diventi miope. O forse presbite, perché in effetti, più sono vicine, più sono ben ficcate negli occhi, meno si riesce a distinguere le nostre travi chiamate alibi. E allora alibi e ragioni, verità e bugie si fondono e si confondono in un mischione senza distinzione, come una notte in cui tutte le vacche sono nere, in cui la saggezza diventa la prudenza più stagnante. Ma per fortuna, quasi sempre, dietro la collina è il sole.

V.M. 18 anni

“Chino, su un lungo e familiar bicchier di vino 
partito per un viaggio amico e arzillo 
già brillo. Certo, perché io non gioco mai a viso aperto 
tremendo il mio rapporto con il sesso, che fesso!”

In questo post si parlerà di sesso. Oh, finalmente, dirà qualcuno! Vi interessa? Facciamo un rapido test. Se uno vi dice che ha un appuntamento al reparto di trombofilia vi compare improvvisamente un sorriso un po’ ebete sul volto? Allora proseguite nella lettura. Altrimenti passate oltre.

Entrare a far parte di una blog community, mio malgrado o forse, come direbbe Scaiola, a mia insaputa, ha dei riflessi davvero divertenti. Dicevo mio malgrado perché come ho già scritto in precedenza, nella mia crassa ignoranza di web, aprendo un blog pensavo che avrei scritto. Non che avrei letto! Non avevo dunque la minima idea che invece aprire un blog sarebbe stato come un biglietto di invito ad una festa di liceali. Quelle feste in cui arrivi, non conosci nessuno, ti imbuchi, prendi un bicchiere e ti butti nella mischia. Si incontrano davvero soggetti strani, personaggi nati dalla fantasia malata dei propri autori, supereroi con e senza calzamaglia, visionari, poeti, santi e navigatori. E come appunto nelle feste liceali, cominci ad andare in giro e a scambiare quattro chiacchiere con questo o con quello. Fra tutte le cose, debbo ammetterlo, quella che più mi ha sorpreso è quanta gente e con quanta perizia, parla di sesso. Ora, va be’, non è che non se ne parli al di fuori dei blog, ma qui ho trovato una concentrazione davvero singolare. Soprattutto, la cosa più singolare, è il fatto che ne parlino le donne. Per carità, si parla anche d’altro, ovviamente, però insomma l’argomento è senza dubbio molto gettonato.

E invece qualcuno/a mi ha fatto notare che nel mio blog, al contrario, se ne parla molto poco. Come mai? C’hai qualche problema? Un blocco psicologico? Un’esperienza negativa da piccolo?

Non lo so. Non so proprio perché non mi viene da parlarne. O forse  sì che lo so. Perché, devo ammettere, io non sono fra quelli che quando ascoltano De Gregori cantare “ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo” pensano che in realtà stia facendo un ermetico elogio del Cunnilingus. Né, ad esempio, ho mai pensato che Battisti, cantando “e tu amica cara mi consoli perché ci ritroviamo sempre soli”, vaticinava trent’anni prima la figura del trombamico.

Secondo me è questo il problema. Diciamola tutta. So antico! Ai miei tempi, soprattutto con le ragazze, non si parlava di sesso. Per fortuna non avevamo i bimbiminkia, ma nemmeno appunto i trombamici. Ce le avevamo le amiche, certo. Ma se erano amiche, non solo non ci facevamo sesso, ma neanche  se ne parlava. Noi eravamo quelli su cui venire a piangere quando lui faceva l’infame. L’orecchio disponibile per le lunghe filippiche su quanto la vita fosse ingrata, su quanto nessuno le capisse. Con le più intime potevamo parlare di calcio o ruttare a bocca aperta. Ma sesso nisba. Perché ovviamente, almeno ai miei tempi, alle donne piacevano gli stronzi. Non ho mai capito bene come e perché si sviluppasse questa strana forma di masochismo. Ma insomma, era così. Un dato di fatto. Avendo la possibilità di scegliere fra l’amico fidato e disponibile e il criminale conosciuto in uno sordido pub, lei decideva immancabilmente per il secondo. E quindi o eri stronzo o eri l’amico. E all’amico non gliela davano. Mai! Se avevi la ragazza era diverso (mica sempre, anzi, di solito non te la davano lo stesso). In ogni caso avere una trombamica non esisteva neanche nelle nostre fantasie più sfrenate. Negli anni 80 avere una trombamica sarebbe stato meno probabile di uno scudetto della Lazio.

E quindi, vi posso assicurare, con le amiche non si parlava di sesso. Di sesso si parlava fra noi maschi. Spesso. Anzi, direi molto spesso. L’argomento era probabilmente inversamente proporzionale a quanto lo si faceva. E noi che ne parlavamo assai, andavamo inconsapevolmente d’accordo con Woody Allen, che dice che “il sesso è come giocare a carte: se non hai un buon partner, spera almeno in una buona mano”. Ecco quindi che le uniche amiche con cui si parlava (!) di sesso erano Federica la mano amica e le sue varianti più o meno fantasiose: Adele la mano fedele, Alberta la mano esperta, Veronica la mano supersonica, Francesca la mano che ti rinfresca. Figure mitologiche, immancabilmente associate ad un ideale di donna legato alla purezza. Oddio a voler essere precisi, più che alla purezza, alla pulizia: la Fenech che si faceva la doccia nelle svariate versioni delle commedie di quegli anni. Ma con le amiche, quelle vere no.

Forse per questo a livello inconscio, m’è rimasto questo blocco dello scrittore. O forse è un argomento su cui ho poco da dire. Più probabilmente, lo ritengo un tema su cui sia meglio tacere. Un po’ come il calcio (che com’è noto è il più diffuso succedaneo al sesso): c’è chi ama star lì a parlarne, a vedere trasmissioni che discutono della rava e della fava di questo o quel giocatore e c’è chi invece preferisce solo correre appresso ad una palla (anche se magari, come il sottoscritto, non ne avrebbe più l’età!).

È per questo che posso ammettere che la frequentazione dei blog mi ha aperto nuove prospettive.

Concludendo questo post un po’ anomalo, scrittrici e scrittori più navigati di me in siffatte tematiche, solamente un dubbio mi resta: ma sul serio secondo voi, l’amica cara non lo consolava con una pacca sulla spalla e un bicchiere di amaro Montenegro?

 

Anestesia

Dunque l’altro giorno mi sono deciso a togliere un neo. Brutto, enorme, scomodo (proprio sulla linea della cinta dei pantaloni), ma innocuo. Erano anni che stava lì e tutti mi dicevano perché non lo togli? Ma non ti dà fastidio?

No, certo che non mi dà fastidio! O comunque il fastidio è meno della strizza di toglierlo.

Alla fine però mi sono deciso.

Ovviamente, da cuor di leone, ho preteso un’anestesia locale laddove il Doc insisteva invece a dire che proprio il giorno prima ne aveva bruciato uno ad una signora senza anestesia,senza problemi, senza un lamento. Figuriamoci! Io mi lamentavo prima che cominciasse, opponevo una serie di problemi e quindi volevo litri di anestesia (del resto, amiche mie, mi avete per caso mai sentito dire che noi uomini siamo più coraggiosi? Ho mai preteso paragonarmi alla vostra forza di volontà? Alla vostra determinazione? Testimoni voi, io mi sono arreso da un pezzo!)

E così, sdraiato sul lettino, sentivo questa puzza di bruciato, senza però sentire alcunché. E pensavo che ficata sarebbe stato se qualcuno avesse inventato un’anestesia per i sentimenti. Una punturina e via, giù di bisturi e di azoto liquido. Taglia qui, brucia là, ma senza sentire il benché minimo dolore. Con un’anestesia del genere potremmo tagliare rami secchi, cauterizzare vecchie ferite ancora aperte, non avremmo remore, non ci sarebbero esitazioni. Perderemmo ogni dubbio, romperemmo gli indugi.

Dritti all’obiettivo, senza paura. Eppure…Saremmo così precisi come il mio Doc? Saremmo in grado esattamente di tagliare ciò che c’è da buttare, senza confonderci e senza quindi portare via anche quello che invece è necessario che rimanga? In fondo il dolore è una sentinella, è come un allarme che ci dice quando fermarci. O quanto meno quando è il caso di aprire bene gli occhi. E’ per questo che solo le persone a cui teniamo sono quelle che ci fanno sentire veramente dolore. E anzi. Se a qualcosa serve il dolore, potremmo dire, è proprio il capire quanto teniamo a qualcuno. Se non sentissimo dolore insomma, forse non riusciremmo a capire quanto amiamo davvero l’altra persona.

No, niente anestesia, quindi. Magari giusto un goccio di quello buono. Almeno quello sì!