I’m too old for this Shit

Si sa che l’età è un fatto relativo. Mio padre a 94 anni, non va più al circolo anziani a giocare a carte, un po’ per gli strascichi della pandemia, un po’ perché, a detta sua “è pieno di vecchi“. Sempre lui, parlando con mio fratello, gli ha detto recentemente “speriamo di non diventare vecchi“. Già…speriamolo davvero, anche se l’alternativa non è poi così allettante.

Quando si smette di essere giovani? Quando non si ha più la curiosità di imparare cose nuove, quando non vuoi più metterti in gioco per nuove imprese, quando pensi di avere più cose insegnare che da imparare. Non è un fatto anagrafico, non solo almeno. Per questo c’è gente che nasce vecchia ed altri che con il passare degli anni ringiovaniscono. Io ad esempio vorrei avere esattamente gli anni che ho, solo con trent’anni di meno. Ma questo è un altro discorso.

Un elemento che mi fa riflettere, nel confronto generazionale, è l’accorgersi che (forse inevitabilmente) verso i figli si ripercorrono esattamente le stesse strade e analoghi atteggiamenti che contestavi duramente a tuo padre quando il figlio eri tu. Non tanto il fare o non fare una cosa: sono ancora abbastanza lucido da fare un passo indietro e lasciare ai figli la responsabilità di decidere quello che fanno. Ma il modo in cui fanno le cose: lì è quasi inevitabile voler dire la propria, voler mettere il becco. Ecco, forse uno smette di essere giovane quando ha la pretesa di sapere quale sia il modo giusto di fare le cose.

Continua a dirti, ma non esci mai? Perché non provi a divertirti!” Così cantava Venditti 40 anni fa, certificando il fatto che almeno non è un problema odierno: anche nel modo in cui passano il tempo libero ci sentiamo in diritto (anzi forse, in dovere) di dire la nostra. Certi modi ci sembrano inconcepibili, semplicemente perché non sono i nostri. Ma da saggio genitore a vecchio trombone scassaminchioni è un attimo!

In ogni caso è vero che alla resa dei conti, più che la carta di identità, ognuno ha l’età che si sente. E’ vero però che non si può non essere influenzati dal confronto con gli altri, che inevitabilmente ti porta a misurare te stesso in relazione al contesto. Quindi da una parte è un fatto incontestabile che io continui imperterrito a giocare a calcetto il giovedì sera con gente che ha la metà dei mie anni, ma è altrettanto vero che ieri al Todis un cassiere – che poteva avere l’età dei miei figli – mi ha chiesto a bruciapelo, “maggiore di sessant’anni“? Ero indeciso se ridere, piangere o voltarmi dietro (magari è strabico e sta parlando con qualcun altro). “Sa, il martedì c’è lo sconto anziani“.

Va be’ è stato bello finché è durato, vi voglio bene lo stesso. Arrivederci.

Anche voi siete un po’ sharing?

La sharing economy è quel tipo di sistema che si basa sulla compartecipazione, sull’uso prima del possesso. Tutti dicono che sarà il nostro domani, il futuro delle economie occidentali. In fondo però, se vogliamo, potrebbe essere la prova che Marx non aveva poi tutti i torti, perché di fatto è il superamento della proprietà privata. Perché avere una macchina, pagarne l’acquisto, il bollo, l’assicurazione, le riparazioni quando posso chiedere un passaggio a chi tutti i giorni fa io mio stesso percorso o quando posso prenderla in prestito quando mi serve? Perché avere una seconda casa per le vacanze quando posso andare di qua e di là, cambiando meta ogni volta? E così nascono bla bla car, airbnb e tutte le nuove forme di utilizzo condiviso.

Ma pensiamo anche alle cose più banali. Quante volte usiamo il trapano in un anno? Una? Due? Io mai perché faccio disastri, ma le persone normali penso che a stento arrivano a tre. Eppure ognuno ha un trapano in casa. Ne basterebbe uno per condominio, da prendere quando se ne ha bisogno e il problema sarebbe risolto. E così per il tosaerba da giardino e tante altre cose. E’ il discorso della cosiddetta “decrescita felice”, un nuovo paradigma che in qualche modo dà una risposta alla crisi generale dei consumi.

Allarghiamo il discorso. Perché lo sharing, non si ferma alle cose. Ad esempio la esternalizzazione di alcuni servizi non è in fondo la traduzione in termini lavorativi di questo paradigma? Ditte delle pulizie, agenti di vigilanza, ma un domani anche lavori più specialistici potrebbero essere “compartecipati” da varie aziende per ridurre i costi (non so con quali benefici per i lavoratori…)

Arriviamo alle estreme conseguenze. Non è che senza saperlo, senza ammetterlo pubblicamente, già da tempo abbiamo compartecipato anche i sentimenti? Gli amici quando servono, le relazioni leggere, le coppie aperte, i trombamici. E d’accordo che le relazioni autentiche sono quelle che rendono liberi, dove tu non sei “mia” ed io non sono “tuo”. Ma siamo sicuri che nelle relazioni l’alternativa al possesso sia l’utilizzo? E’ questo che davvero ci dovrebbe rendere più liberi, più realizzati, più aperti alle nuove tendenze? Non so, qualcosa mi sfugge.

O forse semplicemente, sono io che sono troppo vecchio per questa sharing feelings.

 

E tu come dgt?

Siete davanti ad un citofono, non sapete esattamente dove si trova la casellina dell’amico da cui dovete andare a cena. Mentre cercate su e giù, vostro figlio vi precede e preme il tasto giusto. Fateci caso, spingerà quel tasto con il pollice. Con il pollice vi domanderete voi? Come fa a venirgli naturale spingerlo con il pollice? Perché non usa l’indice come faremmo noi, se la fossimo stati più veloci di lui a trovare il tasto giusto?

Mi hanno spiegato che una delle differenze fra chi è nato digitale e chi ci è diventato (magari suo malgrado) è proprio questa. Il nativo digitale usa i pollici come noi non penseremo mai di fare. Ma non è solo questo. Magari fosse solo questo. Magari fosse solo la velocità con cui scrivono, il fatto che usano K invece che CH, o dgt per digiti…

Il mio giovin virgulto passa molto tempo davanti ad un video. Molto più di quello che io penso sia opportuno, ma questo è un altro discorso. Poi, a volte, improvvisamente, viene da me tutto accalorato ed orgoglioso per farmi rivedere un’azione che ha appena realizzato con FIFA 15. Ed io non ci riesco. Eppure ci provo, ci provo sempre perché penso sia bello ed importante riuscire a condividere le cose con loro. Ma non mi viene proprio. Non mi emoziono, non riesco a farmi prendere. E lui lo capisce: ci prova a spiegarmi: “guarda pa’! ma hai visto che goal?” “Sì, ma non l’hai fatto tu. L’ha fatto il computer!” “Ma certo che l’ho fatto io!

Non ci riesco. Non riesco ad emozionarmi per quello che fa un macchina. Magari concettualmente ci arrivo a capire che sia una cosa tecnicamente pregevole. Ma l’emozione…il gusto…ecco, il gusto! Che gusto ci prova? Perché io non riesco a farmi trascinare? Sarà perché uso l’indice invece del pollice?

Le 10 scene indimenticabili

Qualcuna delle mie esigentissime lettrici, mi faceva notare, neanche troppo sommessamente, che il blog negli ultimi tempi sta prendendo una piega un po’ troppo seriosa. Detto in altri termini, sta diventando più pesante di un piatto di peperoni ripieni con la cipolla. E dunque, cosa più di una bella classifica per ristabilire la leggerezza di questo luogo, ribadendo, laddove ce ne fosse ancora bisogno, il suo carattere autenticamente minchione?

In passato avete letto classifiche di facezie, di cose belle e cose brutte, di canzoni, di libri. Che manca? Una classifica dei film, direbbe qualcuno. Ma troppo facile! Invece, sempre per rimarcare quel carattere specifico di cui sopra, vi intrattengo sulle dieci scene di film che più mi sono piaciute, al di là del film in sé. Per il messaggio, per le implicazioni o solo per “come suonavano”. Ovviamente ne avrei volute mettere altre (manca il Marchese del Grillo, ad esempio, che di scena memorabili ne ha più d’una), ma queste secondo il mio insindacabile giudizio, sono quelle che vale la pena citare.

E cominciamo con un film che da solo forse potrebbe riempire questa classifica. Un capolavoro inarrivabile! Troppo facile citare il “could be worse, could be raining”. Piuttosto ne scelgo un’altra perché nella sua paradossalità indica esattamente come vanno le cose in questo mondo, dove ognuno vede solo quello che preferisce vedere. La realtà, in fin dei conti, è un punto di vista

Quest’altra la inserisco perché si presta a moltissime varianti. E infatti è una citazione che utilizzo (a sproposito, ovviamente) in tutti i contesti in cui c’è una sproporzione evidente fra una parte ed un’altra.

Il prossimo è un altro film pieno di scene e citazioni iperboliche. Sono stato molto indubbio fra “i nazisti dell’Illinois”, “siamo in missione per conto di Dio” e questa scena qui. Anche quelle altre fanno parte del mio olimpo culturale e chi mi conosce di più me le avrà sentite citare (sempre a sproposito), molto spesso. Comunque, alla fine ho scelto questa perché…perché come si fa a non sceglierla???

Qui, più che per il film in sé per sé, la citazione è per l’autore. Il numero uno, secondo il mio modesto parere. Potevo scegliere questa o qualsiasi altra. Veramente avevo in mente la scena in cui la “dea dell’amore” gli regala una cravatta giallo rossa perché lui non voleva un pompino., purtroppo su Youtube non l’ho trovata. Ma anche questa però ha il suo perché

Qui invece la scelta l’ha dettata il film, perché in assoluto, dovessi scegliere con la pistola puntata di dire un titolo, uno ed uno solo, direi questo. E poi perché sogno un giorno di questi (in fondo come tempi ci siamo, il prossimo giugno saranno 30 dalla maturità) di poter vivere una scena come questa con i miei amici di sempre

Anche qui la scelta è fatta per il film (eccezionale) e come omaggio ad un attore talmente bravo da lasciarmi spesso senza parole. Anzi solo una. Peccato!

La prossima è invece un mix: il film giusto, gli attori giusti, la scena giusta. What’else? al di là di tanti manuali, al di là di tante elucubrazioni sui rapporti uomo donna…ma quanto c’ha ragione questo film???

Anche qui il film è bellissimo, uno dei miei preferiti e avrebbe avuto anche altre scene da ricordare: “Stupid is as stupid does”, oppure il “ora sono un po’ stanchino”, fanno parte anche loro del mio bagaglio (pseudo)culturale. Ma questa scena però ha un qualcosa in più

Uno dei film più belli della storia del cinema italiano, pieno di scene e citazioni tali da rendere difficile la scelta. Difficile, ma non impossibile, perché secondo me questa scena rappresenta quel tipo di mentalità, inarrivabile, che racchiude l’essenza della comicità napoletana. Avrei potuto mettere una scena di Totò o di Eduardo, ma il modo in cui dice questa frase Troisi, supera tutto il resto.

Chiudo con quella che sempre più sta diventando la “mia” citazione. Il film, come tutti quelli di questa serie, è bellino senza pretese, ma la frase è eccezionale, perché ci sta sempre bene, in qualsiasi situazione.