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Il blog entra nell’adolescenza

Puntuale come la scadenza del bollo auto, anche quest’anno WordPress ci tiene a ricordarmi che oggi Viaggi Ermeneutici compie gli anni: 12 anni per la precisione! Tra un po’ entrerà nell’adolescenza e comincerà a rispondere cose del tipo scrivitelo te il prossimo viaggio! Oppure io esco con gli amici perché questo viaggio proprio non mi interessa! Cose che capitano anche nelle migliori famiglie.

Insomma il blog diventa grande, non mi illudo che diventi anche un grande blog. Anche perché quando l’ho aperto non era questo l’obiettivo. Come ho già scritto in altre circostanze analoghe, l’obiettivo era creare uno spazio dove riporre idee, opinioni, immagini o semplici suggestioni. Ed è stato esattamente questo: una specie di scatolone che mi è servito per non perdermeli per strada, per non farmeli scivolare fra le dita.

Scorrendo i vecchi articoli mi rendo conto che alcuni sono invecchiati bene, come un buon vino, altri meno. Alcuni potrei effettivamente cancellarli, non mi ci riconosco e oggi li scriverei in modo differente, ma in realtà è giusto così, perché sono tutti figli del tempo in cui sono stati scritti. Spesso rileggendomi, mi capita di ricordare le circostanze ed i momenti che mi hanno portato a scrivere certe cose, mentre altri post spuntano fuori quasi a sorpresa e mi viene da chiedermi “ma ero proprio io che ho scritto sta cosa? Chissà che avevo bevuto!”

Ad ogni modo 12 anni sono effettivamente tanti, ma ancora non mi sono stufato di viaggiare e spero che lo stesso possano dirlo i miei compagni di viaggio. Se ne aggiungono sempre di nuovi, qualcuno se n’è andato per la sua strada, qualcuno a volte ritorna, un po’ come succede nei gruppi di amici. Mi auguro che questo spazio virtuale sia sempre risultato accogliente e che almeno in parte sia stato lo strumento per diffondere luce e dolcezza, che come i viaggiatori di lunga data sanno è la mia personale missione su questa terra.

Quindi cosa sarà viaggi ermeneutici? Certamente continuerà ad essere futile. Futile perché non utile. Futile ma spero non inutile. E per rendere più chiaro questo concetto mi viene in aiuto un ricordo (in questo caso di FB), di quando qualche anno fa ero un po’ depresso a casa con una gamba ingessata ed n mio amico cercò di tirarmi su il morale.

  • Il problema di questo incidente è che non riesco a fare nulla. Stare bloccato a casa in questo modo mi fa sentire totalmente inutile!
  • Ma no, dai. Ognuno può rendersi utile!
  • Tipo?
  • Potresti cospargerti la testa di porporina celestine e rosa, così ci daresti informazioni quando cambia il tempo

Quindi, se un giorno tornando tra queste pagine trovaste i viaggi ermeneutici puntinati di rosa e celeste saprete il motivo. Perché anche le cose futili possono non essere inutili. E in fondo cosa c’è di più futile di una previsione del tempo, che basta una nuvola o un soffio di vento a rendere inutile?

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Incontri al prato, donne famose e dubbi irrisolti

Le donne ricordano solo gli uomini che le hanno fatte ridere; gli uomini solo le donne che li hanno fatti piangere (Henri de Régnier)

Cosa pensano davvero le persone? Come facciamo a sapere cosa si aspettano da noi? Le donne per esempio. Che le donne siano molto più complicate di noi, lo do per assodato, può sembrare una generalizzazione banale, ma come tutte le generalizzazioni pur non essendo esaustiva della realtà, ci si avvicina molto. Noi uomini siamo generalmente più semplici, più interpretabili, diciamolo, più scontati.

Le donne no. Non sai mai esattamente cosa si aspettano che tu faccia. Ed è talmente complicato capirlo che infatti, il più delle volte, noi maschietti toppiamo alla grande. Oppure, in un’altra buona parte di volte, rinunciamo a capire, tiriamo dritti per la nostra strada, senza tentare di cogliere le aspettative altrui. Ma siccome – come ormai sanno i viaggiatori ermeneutici più assidui – il mio compito è quello di diffondere luce e dolcezza, be’ diventa essenziale cercare di capire cosa si aspetta il tuo interlocutore. Tu pensi di dare luce e dolcezza con una parola, quando invece sarebbe meglio tacere, o al contrario, stai zitto proprio nel momento in cui chi ti sta di fronte si aspetta un suggerimento o semplicemente un conforto.

Tutto questo preambolo per raccontarvi di ieri pomeriggio. Ero al prato con Didi che aveva iniziato a giocare con un cucciolone 5 volte più grosso di lei. E mentre loro si rincorrevano felici ho iniziato a parlare con la ragazza che era lì con lui. Chiacchiere da proprietari di cani, mentre cercavo di farmi venire in mente dove l’avessi conosciuta, così magari da evitare figuracce, ma insieme alla convinzione di averla già vista, non mi veniva proprio in mente dove. Nel mentre è spuntato un altro cane e la proprietaria appena arrivata (le donne sono sempre più perspicaci di noi), le fa “ma tu sei quell’attrice famosa…“. Eh sì, era proprio lei.

Così cominciamo a parlare dei suoi film, ci ringrazia dei complimenti, ci racconta che da poco si è trasferita nel nostro quartiere dove si trova bene. Ma come ho fatto a non riconoscerla? Tra l’altro mi piace moltissimo, dai suoi personaggi si capisce che è una donna molto ironica e scanzonata. Ed io adoro le donne ironiche, dovessi elencare la prima caratteristica che mi piace in una donna è esattamente quella (probabilmente non fosse così non starei insieme ad Ale da quasi 40 anni!). Tornando a ieri, debbo dire che lei non se la tira per niente, è una persona davvero piacevole, forse più timida di quello che si potrebbe pensare. E mi sono chiesto: le piacerà essere riconosciuta? Se le chiedo di fare un selfie penserà “ecco uno che si accolla“, oppure se non glielo chiedo dirà fra sé “questo non mi ha riconosciuto, dice che gli piacciono tanto i miei personaggi, però non mi si fila per niente“?

No, capire una donna non è mai troppo semplice, ma una donna famosa è ancora più complicato. Oddio, probabilmente anche con un uomo famoso avrei avuto le stesse perplessità. Chissà in effetti com’è dover gestire la fama, dover barcamenarsi fra la soddisfazione del riconoscimento e la voglia di normalità. Nell’epoca dei social, che accorciano le distanze e rompono le barriere dev’essere sempre più complicato trovare il giusto equilibrio. Comunque, stavolta nel dubbio ho evitato ingerenze da ammiratore, ho richiamato Didi e ce ne siamo tornati a casa. Però magari la prossima volta un selfie glielo chiedo.

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Rallentando

Un carattere imprescindibile della nostra attuale condizione è la velocità. C’è poco da fare, tutti corriamo. Noi, le situazioni, i sentimenti, le preoccupazioni, i desideri, il mondo che ci circonda. E mentre il futuro può sembrare un treno in corsa che si precipita verso di noi, il passato cade con altrettanta velocità nel dimenticatoio. Le ansie che ci attanagliavano possono svanire come la brina notturna appena sorge il sole, tanto che ci può sembrare futile e quasi insignificante quello che fino a poco prima teneva occupati i nostri pensieri. Così però si vive male.

Ovviamente nessuno di noi è singolarmente responsabile di questo stato, seppure ognuno contribuisce ad alimentarlo. Così diventano eccezioni preziose quelle rare occasioni che ci permettono di rallentare il ritmo, di fermarsi a riprendere fiato. Occasioni non sempre felici, che però ci costringono a riflettere. Ripensando appunto ai nostri obiettivi, a dove vogliamo arrivare, a quello che ci preoccupa. Per accorgerci che magari stiamo cercando di raggiungere dei traguardi legati a piccole ambizioni, a soddisfazioni che non aggiungono nulla, come se ci dovessimo partecipare a una sorta di competizione a tutti i costi, una gara contro qualcuno.

Dobbiamo rallentare per capire che tutto questo, ammesso e non concesso che qualche volta ci veda fra i vincitori è una bugia che non porta da nessuna parte. Tantomeno ad essere felici o realizzati. Quando si rallenta, superato quell’iniziale senso di vertigine, come quando riprendi fiato dopo una lunga corsa, riusciamo a riscoprire il senso. Il senso dell’essere funzione di qualcosa per qualcun altro, che è il significato più profondo dell’essere vivi. Così possiamo davvero riprendere a diffondere luce e dolcezza, che come ormai sapete è la mia cifra dell’essere su questa terra.

Dici che torneremo a guardare il cielo
Alzeremo la testa dai cellulari
Fino a che gli occhi riusciranno a guardare
Vedere quanto una luna ti può bastare
E dici che torneremo a parlare davvero
Senza bisogno di una tastiera
E passeggiare per ore per strada
Fino a nascondersi nella sera
E dici che accetteremo mai di invecchiare
Cambiare per forza la prospettiva
Senza inseguire una vita intera
L’ombra codarda di un’alternativa
E dici che troveremo prima o poi il coraggio
Di vivere tutto per davvero
Senza rincorrere un altro miraggio
Capire che adesso è tutto ciò che avremo
Capire che adesso è tutto ciò che avremo
Capire che adesso è tutto ciò che avremo

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L’amore ritorna

Ormai dovremmo averlo imparato. Le azioni hanno conseguenze. Dalle più scontate alle più imprevedibili. Le prime sono facilmente ipotizzabili, potremmo scommettere su di loro. Ma solo un ingenuo può pensare che ce ne siano solo di questo tipo. La realtà è sempre molto più complessa, molto più articolata di quanto possiamo immaginare. Per questo le conseguenze delle nostre azioni possono avere echi lontani, che sfuggono ad ogni previsione.

Secondo Confucio il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Ma insomma, senza diventare per forza degli amanti degli involtini primavera, dobbiamo renderci conto che ogni gesto, ogni azione, può arrivare lontano.

E questo discorso solitamente viene fatto in negativo, per sottolineare come le malefatte hanno delle conseguenze, anche quando pensiamo non sia così. Il colpevole alla fine paga il conto. Ma non è questo che voglio evidenziare qui. Vale per il male, ma vale anche per il bene, grazie a Dio. Perché anche il bene, anche l’amore, soprattutto l’amore, ritorna. Non è un boomerang, quasi mai lo è. O meglio, non lo è come lo pensiamo noi. Può tornare subito indietro, ma può anche andare dritto per la sua strada e percorrere sentieri sconosciuti, che a loro volta andranno in direzioni inaspettate e infine, dopo varie curve della vita, si ripresenterà nel nostro cammino.

Avete spesso letto qui nel blog che la mia missione su questa terra è diffondere luce e dolcezza. Ed anche loro ritornano! Come e quando vogliono, perché noi siamo gli strumenti, ma loro sono la musica. Che suona attraverso di noi e come musica rotola via, viaggia nell’aria e arriva ad orecchi sconosciuti e sempre rotolando torna da noi mentre camminiamo per la strada e la ascoltiamo inavvertitamente.

Oggi una persona che conosco sul lavoro mi ha ringraziato per una questione che le ho risolto. Niente di chè, routine. Ma i suoi ringraziamenti mi sono arrivati in modo speciale e mi hanno riempito il cuore. Con lei la vita è stata particolarmente dura e per questo, seppur in modo superficiale, sono stato contento di esserle stato utile. Luce e dolcezza del resto arrivano in superficie, ma rimangono addosso sulla pelle. Rimbalzano e ritornano, come la musica, come l’ amore. Perchè l’amore ritorna, quando meno ce lo aspettiamo.

Roll, roll me away, I’m gonna roll me away tonight, Gotta keep rollin’, gotta keep ridin’ Keep searchin’ ‘til I find what’s right. And as the sunset faded I spoke to the faintest first starlight, And I said next time, Next time. We’ll get it right

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Io e il vecchio Walt

Il 15 dicembre di 56 anni fa in testa alla classifica di Hit Parade nei 33 giri c’era Revolver (l’album dei Beatles che preferisco), da pochi giorni c’era stata l’alluvione di Firenze, (le catastrofi naturali non sono un’esclusiva dell’attualità come forse pensiamo), l’Inter era in testa al campionato (che poi vinse la Juve) e proprio in quel giorno moriva Walt Disney.

Sebbene il mio inguaribile ottimismo mi porti sempre a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, devo prendere atto di aver ormai superato quel “mezzo” del cammin di nostra vita. In effetti non me lo auguro nemmeno di campare 112 anni: non credo che a quell’età potrei ancora giocare a calcetto. Sì, certo probabilmente continuerei a leggere Tex e a seguire la Lazio, ma per il resto, non la vedo proprio entusiasmante la giornata tipo di un centododicenne.

Quindi inevitabilmente uno è portato a fare un qualche tipo di bilancio (anche se, essendo sagittario ascendente gemelli, non ho grandi dimestichezza con le bilance). Una cosa ormai mi sembra chiara: non sono uomo da grandi passioni. La mia sconfinata curiosità mi porta ad interessarmi di tutto o comunque di gran parte delle cose in cui mi imbatto. Ma se dovessi dirne una in particolare, avrei difficoltà. Mi hanno sempre affascinato quelli che hanno conoscenze tecniche approfondite, che so, sugli impianti WiFi. Quelli che sono disposti a spendere mezzo stipendio per quel tipo di amplificatore o quel tipo di casse speciali: io vivo ascoltando musica, ma francamente non mi sono mai interrogato più di tanto sul mezzo con cui l’ascolto. Così come bevo volentieri un bicchiere di vino, ma non saprei certo dire nulla di intelligente ad un primo assaggio (se non, al massimo, “sa di tappo”!).

E così via, potrei elencare decine di specializzazioni, chiamiamoli hobby, chiamiamole passioni, che impegnano le persone e fanno sì che si possano definire esperti. Ma io, in questi 56 anni di vita, in cosa sono diventato esperto? (A parte diffondere luce e dolcezza, ovviamente). Che poi spesso queste passioni sviluppano anche delle capacità, delle conoscenze tecniche: chi riesce a riparare un impanto elettrico, chi sa riconoscere un pittore o una tecnica pittorica, chi è capace di suonare uno strumento. Ma io, in questi 56 anni di vita, che so fare? (A parte scrivere minchiate sul blog, ovviamente).

Sarà che all’università ho studiato filosofia (e questo non è un caso), sarà che da trent’anni lavoro con le parole più che con i fatti (ma questo forse è un caso), però devo prendere atto che tecnicamente parlando, cioè prendendo in esame gli aspetti tecnici di una questione, non so fare un fico secco (a parte giocare a pallone, ovviamente). Questo potrebbe portarmi un qualche genere di frustrazione, potrebbe farmi sentire incapace o inadeguato in mille situazioni. Ma neanche per sogno! La cosa mi lascia del tutto indifferente, perché ormai ho fatto pace con le mie incapacità. Non dico che ci sono affezionato, ma sicuramente ho smesso di combatterle.

Chissà, magari anche il vecchio Walt era un disastro con una brucola in mano. Forse anche per lui la pennellessa era un oggetto misterioso e neanche lui impazziva appresso a motori, francobolli o barche a vela. Di una cosa però sono certo. Anche lui diffondeva luce e dolcezza. A piene mani e ancora ne beneficiamo. E allora mi son detto, con l’umiltà che non mi contraddistingue, senza disegnare cartoni animati (ovviamente sono un disastro anche con una matita in mano) perché non provare a prenderne il testimone?

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Quote rosa, politically correct e altre amenità

Voglio essere scorretto, sincero ma scorretto. Perché lo ammetto, il politicamente corretto mi fa veramente salire il veleno. Mi fa perdere di vista la mia missione su questa terra (che come sapete è diffondere luce e dolcezza), mi svia, mi fa arrivare a pensare quello che non penso, ad essere quello che non sono.

Arrivato a questo punto (non so bene quale punto, ma sicuramente ad un punto sono arrivato) non sopporto più l’ipocrisia. Non sopporto più le maniere di facciata, il dover fare le cose perché sta brutto non farle, l’assecondare usi e costumi antiquati, irragionevoli, inutili se non dannosi. Tra un po’ rischio di diventare come quei vecchietti afflitti da malattie nervose, che però rimangono lucidi al punto da fare ragionamenti sensati: quelli senza inibizioni, che dicono pane al pane e vino al vino, senza pensare troppo alle conseguenze. Purtroppo a volte un po’ di diplomazia invece non sarebbe inutile.

Ad esempio leggevo su repubblica di una polemica nata all’Università di Leida, in Olanda, dove era esposto un quadro con sei uomini intenti a fumare sigari o sigarette, tutti bianchi e di una certa età. E’ successo che una studentessa si sia risentita e lo abbia denunciato alla preside della facoltà di giurisprudenza, scrivendo poi su Twitter, che sarebbe stato almeno opportuno aggiungere una didascalia in cui si stigmatizzassero le cattive usanze del tempo: il fumo non è ecologico e le compagnie di maschi senza donne non è politicamente corretta. Il quadro in questione fu dipinto nel 1978 da Rein Dool, che è ancora in perfetta forma a 89 anni, e si dichiara divertito e stupito: all’epoca, risponde, fumavano tutti, lo facevo anch’io, e i dirigenti alle università erano tutti maschi. Insomma, in nome del politically correct qualcuno vorrebbe arrivare a cambiare il passato.

Altro esempio. Stanno girando un film sulla conferenza di Monaco del ’38, quando l’Europa si arrese a Hitler che si prese la Cecoslovacchia. Sembra che il regista sia in difficoltà perché è obbligato a inserire almeno un personaggio di colore: cosa evidentemente inverosimile nella Monaco del III Reich. Ma che senso ha? E soprattutto, a chi giova? Inventarsi cose che non esistevano aiuta a ristabilire una parità di genere? E’ funzionale al superamento della disparità e del razzismo?

Ovviamente no. Anzi, comincio a pensare che oltre ad essere inutile, questo revisionismo sia persino dannoso. Eppure basterebbe poco per affrontare seriamente le questioni. La New York Philarmonic quest’anno per la prima volta è composta da più donne che uomini. Perché hanno messo le quote rosa? Ma neanche per sogno. Semplicemente hanno fatto audizioni alla cieca, ovvero dietro un paravento, così da giudicare eslusivamente il talento di chi suona, senza nessun tipo di preconcetto.

L’inclusione contro ogni forma di discriminazione non si fa con la salvaguardia di “quote” garantite. Bisogna far valere il merito, che è l’unica discriminante che al giorno d’oggi dovrebbe avere diritto di cittadinanza. Tutto il resto sono solo chiacchiere inutili

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Praticare la gentilezza (sempre sul diffondere luce e dolcezza)

Perché dovremmo essere gentili? A parte il sottoscritto, che come già ampiamente scritto sulle pagine di questo Blog ha come suo compito specifico quello di diffondere luce e dolcezza, cosa ce ne viene a praticare la gentilezza?

Essere gentili non è di moda. Anzi. A volte può generare diffidenza ed incomprensioni: c’è chi ci vede sempre dietro un secondo fine, chi equivoca la cosa, pensando al possibile tornaconto. Abituati ormai all’indifferenza generale, al rimanere ognuno chiuso nei propri spazi, può persino dare fastidio, perché in una visione distorta potrebbe voler significare un ruolo subalterno per chi la riceve. Effettivamente la gentilezza non è di moda. Ma proprio per questo andrebbe praticata.

La gentilezza richiede tempo. Pensare ai bisogni degli altri, venire incontro alle difficoltà, prevenire i desideri e fare ciò che è possibile per realizzarli, potrebbe essere faticoso. Ci vuole impegno e a volte pazienza, insomma potrebbe significare togliere tempo e spazio alle nostre attività. Sì, essere gentili comporta anche questo. Ma proprio per questo andrebbe fatto.

Diffondere luce e dolcezza, ovvero praticare la gentilezza, fondamentalmente, è futile, nel senso che non è né utile, né inutile. Perché la gentilezza inizia dove finisce l’obbligo: tutto ciò che dobbiamo fare, che rientra nei nostri obblighi (non solo morali) non ne può far parte. Potremmo dire che la gentilezza è super-flua, laddove l’accento andrebbe messo sul prefisso “super”. Proprio per questo dovremmo sentirla come indispensabile.

D’altra parte, pensateci un po’, chi è un personaggio famoso che ci dà un esempio concreto di come fare a diffondere luce e dolcezza? Senza dubbio è il buon samaritano. Si trova lì a passare per caso e vede questo derelitto ai bordi della strada: non è tenuto ad aiutarlo, nessuno lo obbliga, nessuno glielo chiede, nessuno se lo aspetta. Eppure lo fa!

Ma al di là dell’insegnamento che ci vuole dare questa parabole, la cosa che mi ha sempre colpito di questa storia è che ci dice chiaramente che non siamo noi a scegliere a chi prestare aiuto. Potremmo dare per certo che il buon samaritano avrebbe preferito aiutare un riccone che poi lo avrebbe ricompensato. O magari una bella fanciulla con cui cominciare una storia d’amore. Al limite forse avrebbe aiutato più volentieri un altro samaritano. Ma non funziona così. Non siamo noi a scegliere. Luce e dolcezza volano dove vogliono loro, non si fanno rinchiudere negli interessi, negli obblighi o nelle necessità. E noi siamo semplicemente gli strumenti dove loro entrano ed escono per suonare la loro musica.

I looked at you all
See the love there that’s sleeping
While my guitar gently weeps…

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7 Consigli (più 1) propedeutici a diffondere luce e dolcezza

Dopo il post di un paio di settimane fa (quello sulla Missione che ognuno di noi ha su questa terra), ho avuto apprezzamenti da parte di diversi lettori ermeneutici sul diffondere luce e dolcezza (lo spread sweetness and light) che avevo detto essere la mia personale missione. Qualcun’altro, a onor del vero, ha alzato un sopracciglio, magari con una vena di scetticismo. E poi ci sono state e Tiffany, due lettrici ermeneutiche fra le più assidue, che addirittura chiedevano una vademecum per metterlo in pratica. E come potrei non esaudire la richiesta di due giovin donzelle come loro?

Ma più che un vademecum con una lista di regole da seguire, penso sia più utile una serie di consigli per stabilire una disposizione d’animo preliminare, che è una condizione di possibilità indispensabile per partire. Ed ecco quindi un bell’elenco (vi mancava un post di elenchi, dite la verità!) di consigli propedeutici a diffondere luce e dolcezza.

Prima di tutto, per diffondere luce e dolcezza, nel dubbio, è preferibile avere il rimorso per una cosa fatta che il rimpianto per una cosa non fatta. Insomma, bisogna avere il coraggio di intervenire, di buttarsi. Si rischia di essere un po’ invadenti, di farsi gli affari degli altri, di dare consigli non richiesti. Ma è un rischio inevitabile, che va corso.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi imparare a perdere tempo. Bisogna avere obiettivi certo, ma senza esserne schiavi, bisogna girovagare ed avere il piacere di fermarsi a parlare, ma soprattutto ad ascoltare.

Collegato al precedente, come corollario, per diffondere luce e dolcezza bisogna essere curiosi. Bisogna avere proprio la voglia di sapere, di conoscere i fatti, le circostanze, le motivazioni. La curiosità è una spinta inesauribile, un po’ come la rubrica “lo sapevi che” della Settimana Enigmistica, non è specificatamente rivolta ad un oggetto, ad una persona o ad un argomento. E’ esistenziale!

Per diffondere luce e dolcezza poi non bisogna essere gelosi delle cose, delle persone, ma neanche delle informazioni. Se conosci un buon posto dove andare a mangiare, un luogo che vale la pena visitare, un osteopata che fa massaggi miracolosi, un bar che prepara cocktail favolosi, devi sentire la necessità di pubblicizzarli, devi diventare un megafono, farti passaparola.

Quindi, per diffondere luce e dolcezza bisogna farsi coinvolgere. Bisogna assumere su di sé i problemi, le preoccupazioni, le aspirazioni altrui e farli propri. Trovare lavoro a qualcuno, far incontrare due cuori solitari, essere il punto di incontro fra la domanda e l’offerta, creare collegamenti o almeno fare di tutto per creare le condizioni di possibilità affinché i collegamenti si creino.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna imparare a praticare atti di gentilezza a caso. All’inizio non viene mica automatico: far passare avanti qualcuno che ha un carrello più vuoto del tuo, fermarsi a dare la precedenza in macchina a qualcuno che non ce l’ha, salutare gli sconosciuti. Sapete che a volte basta un sorriso?

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi cercare quanto più possibile di fuggire i cretini, i rancorosi e le persone moleste. Nel mio caso (ma non credo solo nel mio) quelli che puzzano. Insomma, tutti quelli che scatenano in voi gli istinti omicidi: forse sarà pleonastico specificarlo, ma l’omicidio mal si sposa con luce e dolcezza. Quindi evitate, fuggite. C’è una grande saggezza e un’altrettanto grande dignità nella fuga.

E infine un ultimo consiglio propedeutico perché in sé per sé non diffonde nulla, ma diventa indispensabile, perché altrimenti, se non lo si segue, si rischia di rovinare qualsiasi altra disposizione d’animo, mandando a monte tutto quello che abbiamo elencato fin ora. Per diffondere luce e dolcezza non ti devi arrabbiare con gli amici. Ma non ti devi arrabbiare neanche con i nemici. Non ti devi arrabbiare con nessuno, così fai prima e non hai dubbi. Come si fa a non arrabbiarsi? Bisogna avere una memoria corta e imparare a dare il giusto peso alle cose. E poi un goccio di quello buono aiuta. Anzi, datemi retta, non lesinate, anche più di un goccio.

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In missione per conto di Dio

Volenti o nolenti siamo tutti in missione. Possiamo far finta che non sia così, possiamo negare questo fatto a noi stessi e agli altri, ma ognuno di noi ha un compito da svolgere, un obiettivo da raggiungere.

A volte ci mancano le istruzioni d’uso. Sappiamo da dove partiamo, sappiamo dove dobbiamo arrivare, potrebbe non essere chiarissimo il percorso per arrivarci. Per questo ci potrebbe venire la tentazione di prendere qualche scorciatoia e a volte potrebbe anche essere una buona idea. Altre volte la scorciatoia diventa vicolo cieco e dobbiamo tornare sui nostri passi

Ma scegliamo noi la missione da svolgere? Che un po’ è come domandarsi, siamo noi a scegliere la nostra vita o è la vita che sceglie per noi? In effetti potremmo essere partiti verso un obiettivo, sicuri della missione da compiere e poi invece, strada facendo, abbiamo capito che la missione era un’altra. Anche perché spesso ci sono traguardi intermedi, tappe di avvicinamento all’obiettivo finale, che a volte magari ci aprono nuove prospettive. E così scopriamo che la missione era un’altra, fin dal principio.

Oppure può succedere che una missione dichiarata in realtà ne contenga un’altra e alla fine non capisci quale sia quella principale e quale quella secondaria, non capisci più quale sia l’obiettivo e quale lo strumento per raggiungerlo. Ad esempio, la vera missione dei Blues Brothers era salvare l’orfanotrofio – e la banda era solo lo strumento per realizzarlo – o in realtà la missione autentica era rimettere insieme la banda e l’orfanotrofio era stato solo l’interruttore per innescarli?

E qual è la missione della nostra vita? Quali sono gli obiettivi e quali gli strumenti? E che succede se nel bel mezzo della missione scoppia un finimondo che coinvolge l’intero pianeta dalla Groelandia all’Argentina, dalla Scozia alla Nuova Zelanda? Niente o forse tutto. Magari cambia solo il modo di arrivarci, ma la missione dovrebbe rimanere quella. La mia, ve l’ho scritto più volte, è diffondere luce e dolcezza: per l’esattezza spread sweetness and light, come lo Zio Fred di Wodehouse (per chi volesse approfondire https://en.wikipedia.org/wiki/Sweetness_and_light). E certo non sarà una pandemia mondiale a farmi cambiare idea.

Jake: «Vogliamo rimettere insieme la vecchia banda»
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Elwood: «Siamo in missione per conto di Dio»